lunedì , 9 Dicembre 2024

Dallo sciopero globale a Verona città transfemminista

NON UNA DI MENO

L’8 marzo lo sciopero femminista ha travolto gli argini del presente. Lo abbiamo costruito, incoraggiato, organizzato e sostenuto costantemente. L’8 marzo è stata l’esplosione dello stato di agitazione permanente che continua e che ha dato vita a una nuova grande giornata di lotta contro la violenza maschile contro le donne e la violenza di genere, praticata a partire dalle diverse posizioni nella produzione e nella riproduzione della società. Lo abbiamo alimentato raccogliendo la forza di un processo globale che amplifica ogni presa di parola singolare e locale e ci rende marea. È stato il terzo sciopero globale femminista, eppure ha nuovamente superato le nostre aspettative, i nostri stessi strumenti e percorsi organizzativi.

Inaspettato è stato il numero delle città in Italia che, al grido Non una di meno!, hanno costruito lo sciopero e le manifestazioni di piazza. Non solo nelle grandi città abbiamo visto numeri imponenti. Sono sorti nuovi nodi territoriali, e anche i piccoli centri hanno dato vita a iniziative autonome e diffuse. In tantissime e tantissimi hanno incrociato le braccia: scuole, trasporti, sanità, università, logistica, cooperative sociali, pubblica amministrazione, fabbriche si sono fermate per prendere parte allo sciopero femminista. Moltissime le forme di sottrazione dal lavoro domestico, riproduttivo e di cura praticate anche nelle case.

Si è reso visibile il lavoro invisibile delle donne: quello che non finisce timbrando il cartellino ma continua tra le mura domestiche, quello che disvela la riproduzione di ruoli di genere fissi e codificati, quello in cui il razzismo istituzionale diventa la leva per abbassare i salari ed estendere la giornata lavorativa alle 24 ore. Anche per questo le vertenze già in atto che hanno animato le piazze hanno trovato nello sciopero femminista una chiave di lettura complessiva e una solidarietà che va oltre le istanze di categoria.

L’8 marzo non è stato, infatti, semplicemente una sommatoria di vertenze, ma un altro passaggio fondamentale nell’articolazione concreta della lotta alla violenza sessista e strutturale che, come tale, si esprime in tutti gli ambiti della vita delle donne, assumendo molteplici forme di sfruttamento, discriminazione e abuso.

La rivendicazione di un reddito di autodeterminazione, di un salario minimo europeo, di un welfare universale si sono intrecciate con la critica dei rapporti capitalistici di produzione e riproduzione sociale, il rifiuto netto espresso contro il Ddl Pillon, il razzismo istituzionalizzato dalla legge Salvini, il governo del fondamentalismo misogino e transomofobico della crociata anti-gender e anti-abortista.

All’incremento quantitativo è corrisposta anche una crescita di intensità. Soprattutto, è a partire dal riconoscimento del lavoro riproduttivo, per la maggior parte ancora affidato alle donne, che lo sciopero femminista si è fatto e deve continuare a farsi strumento di trasformazione del mondo contestando la ripartizione di mansioni e lavori basata sui ruoli di genere. Abbiamo dato inizio a un percorso di liberazione e rottura che coinvolge le relazioni e la società tutta nelle sue gerarchie e imposizioni.

Cercando inutilmente di limitare l’importanza dello sciopero, il segretario del più grande sindacato italiano, Landini, si è affrettato a dichiarare che quello dell’8 marzo è stato solo uno sciopero politico, immaturo, nonché “controproducente” per le lavoratrici, perché non “preparato” nei luoghi di lavoro. Noi invece ‒ che siamo quelle stesse lavoratrici e lavoratori, casalinghe, disoccupat*, precarie/i, inoccupat* che portano avanti il mondo ‒ lo avevamo annunciato, lo abbiamo preparato e oggi possiamo dirlo con ancora più convinzione: lo sciopero femminista ha innescato un processo di riappropriazione di questo strumento non più definibile con categorie nei fatti superate. Lo abbiamo annunciato e possiamo ripeterlo: lo sciopero femminista è la risposta.

Uno sciopero certamente politico, ma anche sociale e vertenziale, come dichiariamo nel nostro Piano femminista. Perché è riuscito a rompere l’isolamento delle condizioni individuali e locali di oppressione e sfruttamento, riunendo le tante figure del lavoro dipendente, precario, in nero, non retribuito. Moltissime lavoratrici e lavoratori, delegate e delegati, hanno scioperato e sono scese in piazza e lo hanno fatto anche contro le indicazioni delle proprie strutture sindacali. Non solo, si sono messe in gioco fin da subito nel percorso che ha portato all’8 marzo, in moltissimi incontri di preparazione, nelle Case dello sciopero e nei momenti di discussione pubblica durante lo sciopero stesso, luoghi che sono la messa in pratica nel presente del futuro che vorremmo. Questi sono stati momenti in cui costruire il senso politico della mobilitazione in maniera condivisa, a partire dalle vite dei soggetti coinvolti, e in cui dare corpo a forme di partecipazione politica che includono nella capacità di immaginare una sovversione dell’esistente. Tutte le organizzazioni sindacali dovrebbero riconoscere quanto i luoghi e le condizioni del lavoro riproducano e alimentino le più varie forme di violenza maschile contro le donne e di violenza di genere, sostenendo le vertenze che lottano per scardinare tutto ciò.

Il cammino verso lo sciopero è stato e deve continuare a essere un percorso di riconoscimento reciproco, di crescita personale e collettiva creando luoghi di incontro inaspettati, di condivisione di esperienze che abbiano sempre la forza di rompere la frammentazione e la solitudine e costruire relazioni nuove di solidarietà e cura. In questo senso il processo che ha portato alla costruzione dell’8 marzo è stato fondamentale: un grande esercizio di messa in discussione personale e collettiva in cui l’obiettivo era lo spazio di visibilità, il diritto di esistenza di ogni soggettività che voleva esserne parte. Donne, lesbiche, froce e persone trans hanno unito le forze con chi non è più disposta ad accettare di essere identificata con ruoli di genere rigidi e oppressivi, che vengono poi messi a valore e sfruttati. Abbiamo scioperato riconoscendo che le molestie e le discriminazioni sul lavoro servono anche a intensificare la precarietà, lo sfruttamento e i ricatti; abbiamo incrociato le braccia accanto alle donne migranti che nella piazza femminista hanno potuto gridare contro il razzismo istituzionale che vorrebbe ridurle al silenzio.

Il pomeriggio dell’8 marzo abbiamo goduto dello spettacolo di piazze nelle quali un comune sentimento di forza collettiva ha messo in movimento una marea potente e inarrestabile. Lo sciopero femminista è stato, e deve a maggior ragione continuare a essere, un grande spazio di politicizzazione e un urlo forte di liberazione. Questo movimento ha aperto uno spazio di azione non identitario, intersezionale, sociale e politico che non può che opporsi con tutta sua forza globale a tutti i governi neoliberali, misogini, omolesbotransfobici e razzisti, con i quali non potrà mai scendere a patti. Non c’è contrattazione possibile con coloro che difendono l’istituzione oppressiva della famiglia patriarcale e eteronormata legittimando la violenza domestica, che attaccano la libertà sessuale e di abortire invocando la maternità e i ruoli di genere come un «destino naturale», che digrignano i denti in difesa dei confini mentre intensificano al loro interno lo sfruttamento del lavoro migrante. Contro questi fautori della reazione e della violenza, contro i custodi dell’ordine e delle sue gerarchie che si incontreranno a Verona dal 29 al 31 marzo, dopo la mobilitazione del 9 marzo a Padova, dove lo sciopero è continuato per contrastare la marcia del Comitato No194, durante la tre giorni di «Verona Città Transfemminista» scateneremo la forza globale che lo sciopero femminista dell’8 marzo ha portato nel mondo, iniziando già a lavorare per un prossimo 8 marzo ancora più potente!

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