martedì , 19 Marzo 2024

L’attacco patriarcale nella Repubblica Ceca

di DIANA YOUNG ‒ CLARA, Repubblica Ceca

English

Verso la mobilitazione transnazionale del 1 luglio per rispondere all’attacco alla Convenzione di Istanbul e al contrattacco patriarcale contro le donne e le persone LGBTQ+ a livello globale, pubblichiamo la traduzione italiana di un testo scritto da Diana Young, attivista di CLARA e della rete E.A.S.T. – Essential Autonomous Struggle Transnational, che descrive la situazione in Repubblica Ceca (qui il testo sull’attacco patriarcale in Bulgaria).

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Introduzione

Pur avendo firmato la Convenzione di Istanbul nel 2016, la Repubblica Ceca è uno degli undici Stati firmatari a non aver ratificato l’accordo. Da allora non vi è stato alcun passo in avanti e ciò pone una serie di questioni sulla situazione politica e sociale del paese. Già nel 2015, Amnesty International ha diffuso un report sulla violenza sessuale in Repubblica Ceca, nel quale si evidenziava che, sui 7000 casi di stupro denunciati l’anno prima, solo il 20% degli stupratori non conosceva le vittime e solo il 2% è stato poi condannato in tribunale, mentre nove donne su dieci non hanno sporto denuncia. Nonostante la violenza sessuale e domestica sulle donne non rappresenti certo una novità, il governo e i partiti politici continuano a ignorare il problema, sottovalutandone l’urgenza.

L’impatto della pandemia

In Repubblica Ceca l’ONG Bily kruh bezpeci (BKB) garantisce supporto alle vittime di violenza con una linea telefonica attiva 24 ore su 24. I report stilati mostrano che durante il lockdown si sono verificati numerosi episodi di tensione all’interno dell’ambiente domestico, sfociati spesso in casi di violenza. Anche i media riferiscono che la quarantena e la momentanea sospensione dei normali servizi di supporto hanno provocato un drastico aumento dei tassi di violenza domestica. Nel 2020, a un mese dall’inizio della pandemia, BKB ha ricevuto 201 richieste di aiuto, che equivalgono a un aumento del 35% se paragonate alle 135 telefonate dell’anno precedente. Per l’ONG questi dati non sono sorprendenti: la pandemia ha creato un terreno fertile per la violenza domestica e ha provocato momenti di crisi persino nelle relazioni “più sane”.

Un’analisi più dettagliata della ricorrenza delle telefonate ricevute da BKB rivela un dato inquietante. Nelle prime due settimane sono state 72 le telefonate relative a casi di violenza domestica, diventate 129 nella terza e quarta settimana di lockdown, con un aumento dell’80 percento. BKB fa presente che ciò potrebbe essere dovuto a tanti fattori, come per esempio la trasformazione del comportamento delle vittime determinata dallo stato di emergenza. Per altre tipologie di reati, come la violenza sessuale, invece non c’è stato un aumento delle telefonate. Alla luce di questi dati si può pensare che il lockdown abbia fatto aumentare notevolmente il tasso di violenza domestica.

Si evince che la quarantena, che ha fornito protezione dal virus, ha provocato non solo i tanto discussi danni economici, ma ha avuto un impatto anche sulla salute mentale e le relazioni familiari. La sezione 199 del Codice Criminale della Repubblica Ceca definisce la violenza domestica come un processo e non come un incidente individuale, elemento di cui, secondo BKB, bisogna tenere conto anche in caso di circostanze straordinarie. Per quanto serio, un incidente non è considerato automaticamente violenza, e potrebbe non essere l’indicatore di una tendenza comportamentale. Tuttavia, poiché ogni storia di violenza domestica inizia con un primo incidente, vi è il rischio che l’incremento cui si è assistito nel lockdown sia accompagnato da un aumento permanente dei casi di violenza.

L’attacco alle persone LGBT+

La Repubblica Ceca ha avuto un’attitudine molto variabile per quanto riguarda i diritti LGBT+. Il mese scorso, la discussione di una proposta di legge sul matrimonio omosessuale è stata motivo di festeggiamento. Il gruppo di pressione Jsme Fer vi lavora fin dal 2017 e un suo portavoce a gennaio ha dichiarato che in merito vi è grande divisione all’interno dei partiti. La mancanza di volontà politica è presente anche all’interno del partito di governo ANO 2011, nonostante il primo ministro Andrej Babis abbia personalmente sostenuto il disegno di legge. L’idea è che il paese sia ancorato al passato ma, col supporto di più del 60% della popolazione, la Repubblica Ceca potrebbe rappresentare l’avanguardia dell’ex blocco orientale in termini di riconoscimento delle persone LGBT+. L’omosessualità è stata depenalizzata già nel 1962, ben prima di molti paesi dell’Europa occidentale, e nei primi anni Novanta sono nate numerose organizzazioni pro-LGBT+.

Tuttavia il gruppo Queer Geography ritiene che questa lunga storia di attivismo non si rifletta necessariamente in un sostegno attivo da parte della popolazione. È evidente che in Repubblica Ceca c’è un atteggiamento apatico nei confronti delle minoranze sessuali. Molti pensano che le leggi esistenti in materia siano sufficienti, di conseguenza la cittadinanza mediamente non ritiene che i diritti LGBT+ debbano essere un tema all’ordine del giorno. Quest’opinione provoca disinteresse e gran parte della popolazione preferisce ignorare le persone LGBT+ piuttosto che riconoscere la loro esistenza. Ancora oggi, però, più di un terzo degli omosessuali si sente discriminato o ha subito molestie e ciò dimostra che l’opinione pubblica ceca ha un’idea della condizione degli omosessuali ben più ottimista rispetto alla realtà.

Anche la situazione delle persone trans rivela che la realtà non corrisponde a questa immagine rosea. La Repubblica Ceca è uno dei pochi paesi europei che ancora richiede alle persone trans di sottoporsi a interventi chirurgici per avviare il procedimento legale di rettifica del genere. La distinzione tra sesso e genere, fondamentale nella Convenzione di Istanbul, è un tema insidioso in questo paese. A differenza di altre nazioni europee l’identità di genere non è riconosciuta, e di conseguenza la transessualità non è considerata dallo Stato come una possibilità percorribile. Nell’ultimo censimento tutte le domande erano poste in termini di sesso biologico, mentre il processo di transizione è relegato all’intervento chirurgico, oltre che a una serie di ostacoli burocratici. Pertanto, per lo Stato ceco e per l’attuale classe politica, un documento in cui il concetto di genere è separato dal sesso biologico risulta impensabile.

Razzismo contro i rom

Come denunciato da Amnesty international e Human Rights Watch, la Repubblica Ceca ha una lunga storia di razzismo e discriminazione contro la popolazione rom. Questo fenomeno è stato esacerbato, se non addirittura fomentato, dalle misure adottate dal governo nell’ultimo anno di pandemia. Nell’autunno 2020 la comunità rom si è molto adoperata per accrescere la fiducia nel servizio sanitario e nelle misure di precauzione. Attivisti e star di You Tube hanno contribuito a diffondere messaggi per la prevenzione contro la diffusione del covid-19. «Insieme possiamo battere il virus. Seguiamo le misure, indossiamo le mascherine e manteniamo il distanziamento» ha dichiarato il cantante rom Tessie ai microfoni Romea-TV lo scorso ottobre.

Ciononostante, alcuni parlamentari razzisti hanno utilizzato la diffusione del virus nelle comunità rom per distogliere l’attenzione dall’incapacità del governo nella gestione pandemica. L’SPD (Partito della libertà e della democrazia diretta) non solo si è opposto alle misure di prevenzione nel nome della “libertà”, ma con un linguaggio dai toni nazisti ha anche fatto allusioni alla maggiore incidenza del virus, assolutamente non riscontrabile, nelle aree abitate dalla popolazione rom. Questo comportamento, ignorato dai media mainstream, ha esacerbato le retoriche e la violenza razzista.

Lotte e risposte

L’aumento di episodi di violenza di genere mostra che è urgente mobilitarsi. La pandemia ha messo in luce la violenza contro le donne e la comunità rom, che a sua volta ha assunto il ruolo di capro espiatorio. La visione esageratamente ottimistica sulla condizione delle persone LGBT+ cela fenomeni di discriminazione e insicurezza. I politici cechi sostengono che la legislazione in vigore è sufficiente per affrontare la violenza domestica, definendo la convenzione di Istanbul come superflua e non necessaria. Al contrario, la violenza patriarcale è insita nella legge e nello Stato ceco. Per quanto la Repubblica Ceca spesso si autorappresenti come un paese libero e tollerante, la situazione è simile a quella ungherese o polacca. La Convenzione di Istanbul rappresenta dunque la nostra opportunità per lottare su tutti questi fronti.

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