sabato , 27 Luglio 2024

Primo Maggio 2023: Statement della rete E.A.S.T contro la guerra patriarcale

di E.A.S.T. (Essential Autonomous Struggles Transnational)

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In Europa è in corso una guerra, ed è una guerra patriarcale. Con intensità diverse, le politiche conservatrici in tutta Europa colpiscono violentemente le libertà delle donne e delle persone LGBTQI, trasformandole in armi con la retorica nazionalista. Mentre la famiglia appare come l’unico destino a cui le donne dovrebbero ambire, il peggioramento delle condizioni materiali di vita e di lavoro soffoca le possibilità della lotta che portiamo avanti da molto tempo.

Tuttavia, noi – il movimento femminista e le reti antipatriarcali – non restiamo in silenzio. L’8 marzo milioni di donne e persone LGBTQ+ sono scese in piazza ancora una volta per combattere contro questo attacco patriarcale, che trae forza e viene alimentato anche dal contesto della guerra. Per più di un anno la guerra in Ucraina ha fornito legittimazione agli stati-nazione per riordinare e, in molti casi, scaricare ancora di più i costi dell’organizzazione sociale sulle spalle delle donne, delle persone LGBTQ+, dei e delle migranti, di lavoratrici e lavoratori. In risposta, la marea femminista, superando ogni aspettativa, si è sollevata ancora una volta per esprimere la sua ribellione contro l’inasprimento della violenza patriarcale, contro il rafforzamento delle politiche familiste che ostacolano l’accesso all’aborto e alla libertà sessuale, e contro le politiche razziste che rendono le vite delle donne migranti ancora più sfruttabili.

Questa ribellione non si ferma all’8 marzo. Continua a fluire e ad alimentare molteplici lotte. Lo stiamo vedendo nelle ondate di scioperi in Francia e Gran Bretagna, nelle mobilitazioni in corso in Italia per il 6 maggio che chiedono aborti liberi e sicuri e nella contromanifestazione contro la “Marcia per la Vita” a Praga. Per il 1° maggio, Giornata Internazionale del Lavoro, continueremo ad alimentare questa insubordinazione partecipando a diverse mobilitazioni che si svolgeranno in Europa e nel mondo per contrastare l’attacco patriarcale che questa guerra sta esacerbando a diverse latitudini.

Tra patriarcato autoritario e democratico

Nonostante la Commissione Europea abbia condannato la legge anti-LGBTQI ungherese che equipara l’omosessualità alla pedofilia, le istituzioni europee non riescono più ad esercitare molta influenza su Orban. Per l’UE, il suo atteggiamento ambivalente nei confronti di Putin continua ad essere preferibile ad un’aperta ostilità nei confronti dell’UE e della NATO. Il fatto l’UE abbia da poco sospeso una procedura avviata nei confronti della Polonia – che fino a poco tempo era sotto esame per via delle sue politiche anti-LGBTQI -, non sorprende. Proprio come il suo partner di Visegrad Orban, il primo ministro Morawiecki è un prezioso alleato dell’UE nella guerra in Ucraina – un cane da guardia del confine bielorusso e il primo paese per gli arrivi dei rifugiati ucraini. L’UE sta ora finanziando la Polonia con i soldi del PNRR, ignorando completamente l’atteggiamento omofobo del suo governo, la natura antidemocratica della sua costituzione e il prezzo che le donne stanno pagando con il divieto quasi assoluto di abortire. E mentre il parlamento UE ha votato contro le politiche anti-LGBTQI del governo italiano, anche qui le sue parole suonano non meno vuote e retoriche. Non dovremmo aspettarci che l’UE trovi dei rimedi contro le violazioni dei suoi stessi valori democratici.

Così, mentre la “fortezza della democrazia” è impegnata a combattere la minaccia autoritaria al confine orientale, i suoi Stati membri – come Polonia, Ungheria o Italia – trovano un terreno comune nelle politiche patriarcali e razziste che sono liberi di attuare, a condizione di continuare a sostenere questa guerra.

Dietro la promozione dell’uguaglianza di genere e i suoi discorsi a favore della comunità LGTBQ, l’UE tollera le politiche maschiliste ed omofobe dei suoi Stati membri perché questo è il prezzo che deve pagare per potersi continuare a dire unita ora che i costi della guerra in Ucraina stanno aumentando e milioni di persone stanno alzando la voce contro le scelte dei governi di prolungare ancora questa guerra a loro spese. Scioperi e proteste si stanno diffondendo in Europa e oltre i suoi confini: in Francia contro la riforma delle pensioni; in Germania per salari più alti nel settore dei trasporti e per la retribuzione dei camionisti; nel Regno Unito per un miglioramento delle condizioni di lavoro e salariali di infermieri ed infermiere;

Possiamo vedere questo attacco patriarcale contro le donne e le persone LGBTQ+ in Europa come una risposta parziale a questa rabbia che si sta diffondendo. Questo attacco si è riconfigurato nel contesto della guerra in Ucraina, ma mostra una continuità tra le misure anti-aborto e anti-LGBTQ+ da un lato, e il razzismo istituzionale e le riforme neoliberiste dall’altro. Al centro di questo attacco c’è un’idea molto precisa della famiglia. Come pilastro fondamentale dell’ordine sociale, la famiglia è indissolubilmente legata al reddito e ai sussidi, alle prestazioni, alla produttività e al benessere e diventa così imprescindibile ed indispensabile. La famiglia diventa quindi funzionale alla riproduzione della precarietà: fare la madre nelle attuali condizioni capitaliste significa accettare di produrre una forza lavoro precaria e pronta all’uso. La famiglia permette così oggi di imporre regole molto precise in primo luogo alle donne, alle persone LGBTQ+ e alle e ai migranti così che diventi sempre più facile sfruttare il loro lavoro, meglio se gratuitamente. Questo non vuol dire però che non riconosciamo il valore della maternità o il lavoro delle madri, che invece viene svalutato dal sistema capitalista. Non accettiamo inoltre l’idea spinta dalla destra conservatrice e fascista che per essere valorizzate come donne dobbiamo essere madri.

Lottare contro la violenza razzista e patriarcale da est a ovest

In Italia le misure anti LGBTQI che vogliono negare il certificato anagrafico ai figli e alle figlie delle coppie omosessuali, si aggiungono alle misure in difesa della famiglia. Una recente proposta di legge vuole tagliare le tasse per le famiglie con due o più figli, indipendentemente dal loro reddito, proprio come ha fatto Orban in Ungheria che ha deciso di incentivare la natalità tagliando le imposte sul reddito alle madri under-30 o a quelle con almeno quattro figli. Queste politiche patriarcali sono strettamente interconnesse con le posizioni razziste di questi governi. In Italia, mentre il ministro dell’agricoltura ha affermato che dobbiamo impedire la “sostituzione etnica” facendo più figli, il presidente del Consiglio ha affermato che le donne dovrebbero finalmente entrare nel mercato del lavoro e svolgere i lavori ora svolti da principalmente dai e dalle migranti. La nuova legge sull’immigrazione rende illegale lo status di migliaia di migranti, ostacola il ricongiungimento familiare e lega ancora di più il permesso di soggiorno dei migranti in Italia alla loro disponibilità di essere sfruttati. Il messaggio è chiaro: non credere di essere libera di muoverti, di allontanarti o di stare insieme alla tua famiglia, né di esercitare le tue libertà sessuali e riproduttive. Il patriarcato alimenta sempre il nazionalismo e il razzismo.

L’attacco patriarcale attraversa anche i fronti di guerra: in Russia il governo ha etichettato il femminismo come un’ideologia estremista, accusando i manifestanti di essere contro la guerra, contro il nazionalismo e contro la famiglia. Lo stato minaccia di perseguire le donne che non vogliono stare a queste regole, valorizzando le eroiche “madri” dei soldati e attaccando la libertà di accedere all’aborto. In Repubblica Ceca, un paese relativamente laico e noto per avere sostenuto le donne polacche nell’accesso all’aborto, una manifestazione Pro-Vita ha inaspettatamente avuto ampia risonanza. Anche qui la retorica razzista ha alimentato l’ostilità nei confronti delle rifugiate ucraine, accusate di minare il benessere nazionale. Questo non può essere considerato un caso, soprattutto in un paese che non è cattolico e che non ha neppure un programma politico fanatico o apertamente antiaborto.  Un’altra marcia Pro-Life dovrebbe svolgersi nel Regno Unito a settembre. Qui, la retorica conservatrice ferocemente anti-trans e sempre più a favore della famiglia apre la strada e dà fiducia a un’estrema destra sempre più organizzata e ben finanziata impegnata a rendere sempre più mainstream la sua agenda.

La riaffermazione di questi messaggi patriarcali riflette il tentativo di imporre nuovamente un ordine sociale che spinga per la coercizione al lavoro e il rispetto della gerarchia – non solo per le donne ma per tutti. Questo va di pari passo con l’intensificarsi del razzismo istituzionale sia a livello nazionale che europeo – dai messaggi di Von Der Leyen contro gli ingressi di migranti dall’Africa, agli accordi con Paesi africani che danno fondi e investimenti in cambio del contenimento dei movimenti di migranti verso l’Europa.

Eppure, proprio mentre le donne e le persone LGBTQI continuano a praticare le loro libertà, lavoratori e lavoratrici continuano a scioperare e i migranti continuano ad attraversare i confini, i movimenti femministi non aspettano in silenzio di essere messi all’angolo.

Le femministe scioperano

Lo sciopero femminista dell’8 marzo ha mostrato ancora una volta la possibilità di rifiutare la violenza di questa società, le sue gerarchie e il suo sfruttamento e milioni di donne sono scese in massa nelle strade. Dopo tre anni di lockdown, politiche di contenimento del Covid e lo shock della guerra in Ucraina, quest’anno ha visto anche il riemergere della forza del movimento femminista globale. In maniera non omogenea, e con livelli di organizzazione diversi, lo sciopero femminista si è riproposto ovunque come la risposta ai crescenti attacchi patriarcali, troppo spesso giustificati dalla guerra. L’estrema violenza della guerra e la conseguente repressione statale hanno imposto doveri patriottici alle donne – come madri eroiche, soldati al fronte, uteri sociali, migranti trasformate in forza lavoro a basso costo – e le limitazioni alle libertà sessuali per loro e per le persone LGBTQ+. Lo sciopero femminista ha amplificato proteste più ampie come quelle in Francia contro la riforma delle pensioni e in Grecia contro lo smantellamento criminale dei servizi pubblici. Ha amplificato il grido del movimento delle donne curde “Jin, Jiyan, Azadi!” mentre continuano le mobilitazioni antiteocratiche e antipatriarcali in Iran e Turchia. Qui, finalmente, le elezioni di maggio rappresentano l’occasione per rovesciare il regime autoritario di Erdogan, responsabile della cattiva gestione del disastroso terremoto e firmatario di molti accordi omicidi con l’UE per impedire ai profughi di raggiungere l’Europa.

Inoltre, lo sciopero riecheggia oltre l’8 marzo, risuonando nel presente e nelle pratiche e lotte quotidiane. Oltre alla manifestazione indetta a Praga dalle donne e dai collettivi LGBTQI contro il presidio dei Pro-Vita, il 6 maggio il movimento femminista italiano Non Una di Meno sarà ad Ancona per una manifestazione nazionale. In gioco c’è la libertà di abortire, e tutto l’insieme di misure patriarcali e razziste che il governo italiano usa per sostenere le sue ambizioni neoliberiste. Nelle ultime settimane, le femministe polacche hanno organizzato il Women’s Social Congress, a cui hanno partecipato centinaia di donne e persone LGBTQI provenienti da tutto il Paese, mentre ci sono state mobilitazioni e scioperi di lavoratori e lavoratrici nei settori essenziali. Da est a ovest l’urgenza è quella di riprendere in mano la nostra organizzazione transnazionale e femminista, unendo nella crisi della riproduzione sociale la lotta di donne, migranti, lavoratori, persone LGBTQ+ ma tenendola anche insieme alle iniziative contro la guerra e contro la devastazione ambientale.

Per il 1° maggio diciamo ad alta voce che lottare contro lo sfruttamento significa lottare contro la violenza patriarcale, le politiche discriminatorie e anti-LGBTQ+, e per la libertà sessuale, la libertà di aborto e la libertà di movimento. Continuiamo ad attraversare i confini, continuiamo a distruggere l’oppressione patriarcale, continuiamo a sovvertire i fronti della guerra. Organizziamo il nostro contrattacco alla guerra patriarcale!

Come E.A.S.T. ci ritroveremo online per un incontro sul rapporto tra lotte femministe e lotte sul lavoro e sindacali, e fisicamente durante la prossima riunione del Transnational Social Strike Platform a settembre. Presto maggiori informazioni!

Per entrare a far parte della rete E.A.S.T. puoi inviare un’e-mail a essentialstruggles@gmail.com e/o unirti al gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/343349476881958

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