martedì , 19 Marzo 2024

La politica della logistica

di GIORGIO GRAPPI

La politica della logisticaIn occasione della sua uscita, pubblichiamo l’introduzione di Giorgio Grappi al volume Logistica (Roma, Ediesse, 2016, pp. 265). È un lavoro documentato e preciso che non si limita però a considerare la logistica solo come una tecnologia applicata all’organizzazione e alla distribuzione. Essa è descritta come la forma politico-organizzativa di un capitale che ha ormai raggiunto una dimensione compiutamente globale. Mentre si espande ovunque e si concentra occasionalmente in certi punti, la rete logistica impone una ridefinizione dell’organizzazione spaziale e politica di intere regioni. La «logistica fa politica» perché connette segmenti produttivi e ordinamenti giuridici, coniuga la forza dei protocolli informatici e le tecnologie tradizionali di governo, riarticola le catene globali del valore e obbliga gli Stati a riconfigurare il loro ruolo politico a livello globale. La logistica è il capitale in movimento assieme alle regole costantemente riformulate delle sue dinamiche materiali. La logistica muove le merci nell’incessante ricerca del profitto ma, proprio per questo, essa è costretta a organizzare luoghi produttivi in grado di catturare una forza lavoro che tende costantemente a sfuggirle. La logistica è il rovescio delle migrazioni globali e della ricerca quotidiana di un salario e di una vita migliori da parte di milioni di uomini e di donne. Dire logistica significa nominare la forma contemporanea e globale del rapporto sociale di capitale e della costituzione materiale che lo sostiene. 

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Se dobbiamo parlare con la Via della Seta, non sappiamo chi chiamare.

Diplomatico asiatico

Regole stabili, comunicazioni ben sviluppate, sistemi di trasporto efficienti e software

uniformi sono gli elementi necessari per istituire i corridoi.

Il potere abbandona gli uffici. Le decisioni sono prese nel corridoio.

Logistical Worlds

Viviamo in un mondo solcato da nuove geografie del potere. In questo mondo, le catene del valore e le infrastrutture disegnano mappe diverse da quelle tracciate dalla politica degli Stati e dal loro corollario economico espresso in punti di prodotto interno lordo. In questo mondo, la produzione si manifesta come fenomeno pienamente transnazionale. Attivando senza soluzione di continuità processi che oggi coinvolgono luoghi diversi del globo, di questo mondo la logistica costituisce la base concettuale e materiale. Qualcosa di più e di diverso dalle semplici funzioni di trasporto, rifornimento e distribuzione cui è solitamente associata, la logistica comprende un insieme di standard tecnici, infrastrutture e procedure organizzative che costituiscono la dimensione strategicamente globale dell’attuale fase dello sviluppo capitalistico.

Essa non è l’unica dimensione che fa di quella presente un’epoca globale. Industria estrattiva, finanza e dinamiche di espulsione sono processi la cui scala è ugualmente estesa. Le relazioni internazionali e i rapporti geopolitici, a loro volta, continuano a modificare gli assetti mondiali. La crescente rilevanza della mobilità umana e la rottura di ogni schematismo nei rapporti tra il Nord e il Sud del mondo sono fattori di trasformazione che modificano intere regioni del globo e investono in misura inedita l’Europa. Tuttavia, anche queste dimensioni devono fare i conti con la logistica e la sua capacità di modificare la struttura, le funzioni e i processi di legittimazione delle forme politiche esistenti.

Anche se la logistica è considerata una branca specifica delle arti militari o delle scienze economiche, a partire dagli anni cinquanta del Novecento il processo noto come «rivoluzione logistica» ha modificato in misura radicale il rapporto tra produzione e circolazione, determinando nei decenni successivi una complessiva ridefinizione degli spazi globali. Secondo un rapporto pubblicato dall’Organizzazione internazionale del lavoro, i posti di lavoro classificati riferibili alle global supply chain rappresentano oltre il 20% della forza lavoro complessiva. La loro crescita principale è avvenuta tra il 1995 e il 2007, con un calo iniziato nel 2008 che ha coinvolto in particolare le economie «emergenti» (International Labour Organization, 2015). I motivi di questo cambiamento sono molteplici. Tra questi vi sono fenomeni come il reshoring. Tuttavia, sarebbe sbagliato dedurre dalla diminuzione dei posti di lavoro classificati come direttamente afferenti alle catene globali un ritorno tendenziale verso il sistema produttivo precedente. Essa segnala piuttosto l’ingresso in una fase in cui la «rivoluzione logistica» è divenuta un dato strutturale e, da un processo di estensione geografica, siamo passati a una dinamica che coinvolge direttamente l’organizzazione spaziale e politica degli Stati e di intere regioni del globo. Su questa scala globale è possibile osservare uno slittamento del baricentro spaziale del potere che, senza diminuire la rilevanza degli Stati Uniti, consiglia di rivolgere lo sguardo, per cogliere le tendenze in atto, verso le trasformazioni che investono paesi sin qui considerati come «fabbriche del mondo» o «in via di sviluppo» nell’area euroasiatica e lungo la cosiddetta «Nuova Via della Seta».

La logistica, da motore della trasformazione nella produzione, costituisce l’orizzonte politico-organizzativo all’interno del quale queste trasformazioni possono essere meglio comprese. Circa un terzo del commercio mondiale avviene oggi tra aziende, mentre zone economiche speciali, corridoi e porti sono altrettanti snodi all’interno di una nuova mappa del potere. La definizione di standard e protocolli, la scrittura di software dedicati, l’elaborazione di algoritmi e la formazione di stratificati «spazi infrastrutturali» costituiscono una nuova fonte di produzione normativa e centralizzazione strategica del comando la cui portata eccede il loro specifico ambito di applicazione. Insieme all’aumento della velocità e della redditività del trasporto di merci, semilavorati e materie prime, la logistica è capace di sintesi tra ambiti diversi e lontani della produzione normativa, introduce nuove modalità di governo e decisione, favorisce processi di istituzionalizzazione e di riorganizzazione territoriale la cui rilevanza non è soltanto economica.

La logistica «fa politica». Se essa, da semplice funzione dedicata all’organizzazione dei rifornimenti e della distribuzione, ha scoperto nel tempo come sia «una cosa razionale, intelligente e utile uscire dai confini dell’impresa», essa ha anche e soprattutto scoperto come sia utile e necessario per il suo funzionamento uscire da se stessa (Ferrozzi, Shapiro, 2000: 10). Il potere logistico è così oggi pienamente dispiegato e capace di produrre nuove forme politiche intorno a quella che chiameremo politica dei corridoi. La tesi che avanziamo è che i processi che coinvolgono oggi regioni diverse come Cina, India ed Europa siano manifestazioni specifiche di questa politica, che segna una nuova forma «egemonica» il cui baricentro è la dimensione operativamente e politicamente globale del capitalismo contemporaneo. Le capacità della logistica di connettere processi che coinvolgono tanto le sfere della produzione quanto quelle dell’organizzazione territoriale segnala l’attualità della questione degli spazi politici e del loro rapporto con gli spazi economici, mettendo in discussione la possibilità che emerga una nuova combinazione tra «territorialismo» e «capitalismo» sul modello di quelle conosciute (Arrighi, Silver, 2006).

Dance_Container_Genova01La rilevanza complessivamente assunta dalle operazioni logistiche, inoltre, chiama in causa l’agire politico nell’epoca globale. Questo secolo è iniziato con l’emersione di un movimento che rivendicava «un altro mondo possibile», culminato nelle giornate del G8 di Genova del luglio 2001. Quel movimento è stato bruscamente investito dallo scenario di guerra apertosi l’11 settembre dello stesso anno, ma a distanza di anni possiamo forse riconoscere in un’immagine raccolta durante le giornate genovesi il segnale di un cambiamento la cui importanza allora non fu colta. Nello scenario inedito di una città militarizzata, i manifestanti furono accolti da alte mura di container erette just-in-time nel giro di una notte. Anziché rappresentare solo un espediente tecnico per sperimentare misure occasionali di contenimento di piazza, quelle mura portavano in superficie una nuova composizione del potere globale, i cui protocolli operavano in background e lontano dai riflettori e che aveva trovato nella diffusione globale del container, o containerizzazione, uno dei principali vettori. Gli avvenimenti che si sono susseguiti, passando per la crisi finanziaria scoppiata nel 2008, hanno portato all’apparente ritorno di un pensiero unico dello sviluppo capitalistico, nel quale proprio la connettività, la competitività e il mercato globale sono costantemente evocati come basi di legittimazione per politiche d’investimento e «per la crescita», che stanno trasformando la struttura materiale del mondo. Tuttavia, esse rimangono spesso nell’ombra della critica al sistema neoliberale.

In anni recenti non sono certo mancate esperienze politiche di tipo nuovo, come il movimento Occupy, capaci anche di investire il potere finanziario e il suo rapporto con il sistema logistico. Le mobilitazioni delle «primavere arabe», pur oscurate dai successivi scenari di guerra, segnalano smottamenti importanti nelle società del Maghreb e del Medio Oriente. Aspri conflitti operai scuotono i luoghi della produzione in realtà come la Cina o l’India, aprendo una nuova fase negli equilibri economici mondiali. L’Europa, centro di elaborazione teorica e istituzionale della forma Stato, è attraversata da tensioni che rendono sempre più difficile separarne i destini da quelli di dinamiche il cui sfondo è la dimensione globale. Anche in Italia, il mondo dei magazzini di distribuzione è ormai da anni al centro di un terreno di scontro operaio dai tratti inediti. Sembra tuttavia essere diventato sempre più difficile immaginare forme capaci di incidere sull’organizzazione globale del capitalismo contemporaneo, poiché le esperienze di lotta e mobilitazione appaiono inefficaci nello scalfire le fondamenta di un potere inafferrabile, del quale sfugge l’impianto strategico, nascosto dietro la moltiplicazione di forme particolari, parziali, territoriali. Esso ha oggi il volto pervasivo e sfuggente della logistica. Sarebbe però sbagliato pensare che la logistica rappresenti un potere intangibile. Essa, infatti, produce nuove formazioni politiche che mettono in discussione la stessa centralità politica degli Stati e dei consessi internazionali di cui sono i protagonisti: lungi dal considerarli ininfluenti e superflui, la sintesi logistica ne fa degli strumenti variabili all’interno delle politiche globali dei corridoi.

Anche quando si dovrà rendere conto di un universo lessicale e categoriale dotato di una propria, pervasiva coerenza, il nostro obiettivo non sarà perciò la descrizione tecnica di uno specifico comparto. Di fronte al dibattito teorico riguardante il neoliberalismo e le trasformazioni della forma Stato ci chiederemo, infatti, in che modo la logistica costituisca la base materiale e «costituzionale» dei processi di globalizzazione. Indagheremo processi concreti e una variegata produzione di logiche e terminologie che avviene oggi sempre più spesso in ambiti atipici rispetto a quelli dei discorsi politici e giuridici, al fine di cogliere e analizzare alcune di quelle che Saskia Sassen ha recentemente definito come «dinamiche sistemiche più profonde» o «tendenze concettualmente sotterranee», «nel senso che sono difficili da percepire se ragioniamo servendoci dei consueti riferimenti geopolitici, economici e sociali» (Sassen, 2014: 12).

L’analisi qui presentata risponde perciò a diverse esigenze, con l’obiettivo di aprire un cantiere di ricerca allargato nella direzione di una critica dell’economia politica della logistica. La prima consiste nell’introdurre i lettori non specializzati a un universo di termini, concetti e dinamiche alla cui crescente rilevanza non corrisponde ancora un’adeguata attenzione analitica. La seconda è mostrare il carattere politico di una sintesi logistica che, proprio per il suo carattere apparentemente tecnico-economico, rimane nascosta allo sguardo della teoria politica. Questo libro si rivolge tuttavia anche a chi, invece, di logistica si occupa e volesse collocare le sue conoscenze dirette all’interno di una cornice concettuale e critica più ampia. La speranza è che diversi lettori, superando i rigidi confini disciplinari, vi possano trovare utili spunti per considerare la logistica meritoria di un’attenzione autonoma, ma non specialistica.

Arrighi G., Silver B.J. (2006), Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari, Bruno Mondadori, Milano.

Ferrozzi C., Shapiro R. (2000), Dalla Logistica al Supply Chain Management. Teorie ed esperienze, Isedi, Torino.

International Labour Organization (2015), World Employement and Social Outlook – The Changing Nature of Jobs.

Sassen S. (2014), Expulsions. Brutality and Complexity in the Global Economy, Belknap Press, Cambridge-London.

 

 

 

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