venerdì , 26 Luglio 2024

Incriminazioni e rating: prove di potere nella transizione USA

di FELICE MOMETTI

Si potrebbe dire che ieri, martedì primo agosto, si è ufficialmente aperta la campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Un’apertura senza comizi, eventi mediatici, presentazione di candidati, grandi raccolte di fondi. Due notizie, a qualche decina di minuti di distanza, hanno mostrato che le prossime elezioni presidenziali sono diventate uno degli snodi decisivi per il prossimo assetto del potere politico e finanziario negli Stati Uniti e per la sua proiezione a livello globale: l’incriminazione di Donald Trump per l’assedio a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 e il declassamento del debito americano da parte dell’agenzia di rating Fitch, dalla tripla A – il massimo dell’affidabilità – al gradino sotto della doppia A positiva.

Dopo due anni durante i quali l’amministrazione Biden ha puntato sul progressivo esaurimento politico e mediatico di Trump e del trumpismo senza ottenere significativi risultati, il Dipartimento di Giustizia ha incriminato Trump per sedizione e attacco al potere costituito. L’obiettivo, se non proprio di toglierlo di mezzo nella corsa presidenziale, è di delegittimarlo fortemente dal punto di vista politico e istituzionale. I dubbi di Merrick Garland, capo del Dipartimento di Giustizia, sull’incriminazione di Trump per i fatti del 6 gennaio 2021 sono stati spazzati via dopo il fallimento politico della sua strategia investigativa ‘dal basso verso l’alto’: prima chiudere tutti i procedimenti penali nei confronti dei gruppi dell’estrema destra come i Proud Boys e gli Oath Keepers e poi scalare la piramide fino a Trump. Questa strategia che non ha fatto i conti con i tempi della guerra in Ucraina, con il duro confronto con la Cina e lo scontro al Congresso sull’innalzamento del debito pubblico degli Stati Uniti. A quanto pare la domanda che ha assillato l’amministrazione Biden e i settori più dinamici del capitalismo contemporaneo americano ‒ come sbarazzarsi di Trump e soci senza toccare l’architettura istituzionale e rappresentativa dello Stato federale? ‒ sta ottenendo una risposta.

Non è una risposta limitata al tycoon arancione e ai suoi fedeli, ma riguarda l’intero progetto di governance politica, militare, finanziaria che coinvolge l’intreccio di poteri tra Dipartimento di Stato, della Difesa e del Tesoro. Una governance a geometria variabile che formalmente lascia inalterati la Costituzione, la divisione dei poteri, i meccanismi di controllo – giudicati quanto meno obsoleti – nell’attuale transizione dell’intero modo di produzione sociale americano. Lo si è visto, per fare solo due recenti esempi, nell’informale cabina di regia per la guerra in Ucraina, formata dal Dipartimento della Difesa, grandi società finanziarie come BlackRock e le principali corporation della produzione di armi. Tra queste spicca la Lockheed Martin con la sua ‘metodologia’ Double Helix che combina la sperimentazione di nuove tecnologie militari con un concreto teatro di guerra per sviluppare nuove armi e operazioni tattiche sul fronte. E, secondo esempio, lo si è visto nella gestione del fallimento di banche come la Silicon Valley Bank e la First Republic Bank da parte del Dipartimento del Tesoro in accordo con la JPMorgan, la principale banca degli Stati Uniti. A questo livello si colloca la decisione dell’agenzia Fitch ‒ che insieme a Moody’s e Standard &Poor’s fa parte del gotha delle agenzie di rating ‒ di declassare il debito pubblico americano con il probabile aumento degli interessi che il governo americano deve pagare agli investitori nei suoi buoni del tesoro. Un caso, una coincidenza che la decisione sia arrivata appena dopo l’incriminazione di Trump, come a volere rimarcare il peso del potere finanziario nei confronti di quello politico? Tra le motivazioni di Fitch per il declassamento ce n’è una che sembra una sorta di lapsus freudiano applicato alla grande finanza: «deterioramento degli standard di governance, anche in materia fiscale e di debito, nonostante l’accordo bipartisan di giugno per sospendere il limite del debito fino a gennaio 2025». Come a dire: questa volta vogliamo essere riconosciuti in questa governance. La reazione dell’amministrazione Biden è stata durissima. Janet Yellen, Segretaria al Tesoro, ha parlato di decisione arbitraria basata su dati obsoleti, di un modello di rating sbagliato, se non in malafede, e ha affermato che Fitch non cambierà ciò che gli americani, cioè gli investitori, già sanno: che i titoli del Tesoro rimangono il principale asset sicuro e liquido del mondo e che l’economia americana è fondamentalmente forte.

È troppo presto per stabilire se siamo alla vigilia di uno scontro con le agenzie di rating come nel 2011 durante la presidenza Obama. Allora fu Standard & Poor’s a declassare il debito americano ma fu denunciata dal governo americano per truffa nei confronti dei cittadini e condannata a pagare un miliardo e mezzo di dollari. Dodici anni dopo ci prova Fitch a rivendicare un posto nella governance della transizione americana. Una transizione difficile e complicata, in cui si riconfigurano e riposizionano poteri, modi di cooperazione sociale, modelli di rappresentanza politica.

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