venerdì , 11 Ottobre 2024

Terrore e resistenza nell’autunno afghano: un’intervista a Liza Schuster e Reza Hussaini

di VALENTINA MARCONI e STEFANO VISENTIN

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Pochi giorni fa, i cadaveri di quattro giovani donne sono stati ritrovati alla periferia di Mazar-e-Sharif, nel nord dell’Afghanistan. Una delle quattro donne brutalmente uccise è Frozan Safi, giovane attivista per i diritti delle donne e professoressa di economia, che aveva partecipato alle recenti manifestazioni contro i talebani. Le altre tre donne, invece, non sono state ancora identificate. La notizia del ritrovamento di questi quattro corpi arriva in un momento in cui, dopo un agosto “caldo”, con i riflettori dei media internazionali puntati sull’Afghanistan, il silenzio è gradualmente calato con l’arrivo del freddo autunnale. A inizio settembre si è installato un governo ad interim che include solo leader talebani e registra, come era ovvio immaginare, l’assenza di donne e di rappresentanti delle minoranze etniche e religiose, che anzi stanno subendo una ripresa delle persecuzioni e degli attentati. Intanto, nelle ultime settimane il processo di evacuazione di chi rischia la vita perché aveva collaborato con il governo precedente è ripreso, seppure con il contagocce, quasi che l’UE e gli Usa abbiano dimenticato le loro altisonanti promesse. Dopo vent’anni di dominio occidentale del paese quello che resta sono macerie di un’amministrazione che si è sistematicamente basata sulla corruzione e la collusione con i signori della guerra. Le donne, che in questi vent’anni non sono state più costrette a indossare il famigerato burqa ma hanno dovuto combattere ogni giorno contro la povertà e la persistenza dei rapporti patriarcali, oggi pagano in prima persona per aver avuto il coraggio di reclamare la propria libertà. Della violenza diventata ormai “quotidianità” in un Afghanistan devastato dalla crisi economica e dalle lotte tra i talebani e l’Isis abbiamo parlato con Liza Schuster, sociologa che ha condotto ricerche sul campo in Afghanistan negli ultimi dieci anni, e con Reza Hussaini, dottorando che studia i fenomeni migratori che interessano il paese, e che si trovavano a Kabul durante l’ingresso dei talebani in città. Dal loro racconto emerge, tra le altre cose, la rilevanza politica della libertà di movimento praticata dagli Afghani e dalle Afghane, che se da un lato permette a stati come la Turchia di disporre di un’arma di ricatto verso l’UE, dall’altro mette in crisi la pretesa europea di esercitare un rigido controllo sui movimenti delle e dei migranti. E mentre in tantissimi cercano di fuggire pretendendo una vita diversa e migliore, Liza e Reza raccontano anche delle forme di resistenza che le donne e la minoranza Hazara stanno praticando, all’interno di un regime che utilizza le gerarchie sessuali ed etniche per imporre il proprio controllo sulla società: una resistenza che, approfittando dei minimi spazi che si erano aperti durante l’occupazione occidentale, tenta di costruire un percorso autonomo, senza aspettare aiuti da chi ormai si pone come unico problema quello di trattenere gli Afghani lontani dai confini dell’UE. 

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Dato che entrambi vi trovavate a Kabul quando i Talebani hanno preso il potere, potreste descriverci quale era la situazione dal vostro punto di vista?

Liza Schuster: In quei giorni ero ospite a casa della famiglia di Reza e discutevamo di procurarci delle armi al mercato (ridono) per poterci difendere dal tetto della casa. Reza diceva che la presenza di una donna straniera sarebbe stata utile affinché la stampa prestasse attenzione, altrimenti nessuno si sarebbe curato di un gruppo di cittadini afghani in pericolo.

Di notte abbiamo sentito persone gridare Allahu Akbar dai tetti delle case, sfidando l’avanzata talebana, ed è stato molto emozionante. Questo è successo il giovedì, e a quel punto sapevamo che i talebani si stavano avvicinando. 

Reza Hussaini: La settimana precedente, i talebani erano avanzati velocemente e poi avevano assunto il controllo delle città più grandi; a quel punto si è diffuso il panico. Migliaia di persone sono fuggite a Kabul dal resto del paese, pensando che la capitale sarebbe stata l’ultimo posto a essere conquistato. L’arrivo di tutte queste persone in città è stato un chiaro segnale che la situazione stava precipitando.

Liza Schuster: Il venerdì, la società per cui lavoravo mi ha contattato chiedendomi di recarmi nel compound militarizzato vicino all’aeroporto, in cui si trovava il resto dei miei colleghi. Dopo aver salutato amici e colleghi, mi sono recata al compound di sabato e il mercoledì successivo sono stata evacuata su un aereo militare francese. Ma a Reza le cose sono andate diversamente…

Reza Hussaini: Quando ci siamo resi conto che i talebani si stavano avvicinando, abbiamo considerato diverse opzioni. Da una parte, abbiamo pensato di comprare delle armi per difenderci, ma siccome siamo degli studiosi non ci sembrava molto fattibile. Poi abbiamo riflettuto su come lasciare il paese. Durante gli ultimi giorni, alcuni amici sono venuti a casa nostra per parlare con Liza e avere qualche consiglio sul da farsi. A un certo punto sono riuscito a mettermi in contatto con un’amica in Polonia che ci ha detto che avrebbe potuto aiutare la mia famiglia a fuggire. Il mercoledì abbiamo ricevuto una chiamata la mattina presto e ci hanno detto di recarci all’aeroporto. Mentre cercavamo di raggiungerlo, ho visto dei checkpoint talebani e ho esitato; ho avuto paura che mi fermassero e facessero delle domande. Ma poi abbiamo pensato: “Ok, questo è un rischio che dobbiamo correre” e abbiamo preso il taxi. A ridosso dell’aeroporto c’era una gran folla di gente, migliaia di persone, e un checkpoint talebano. Ho visto un talebano sparare per cercare di allontanare le persone e mia figlia si è molto spaventata perché era la prima volta che aveva sentito uno sparo così da vicino. Allora ho detto alla mia famiglia: “è impossibile raggiungere l’aeroporto, torniamo indietro”. Siamo tornati a casa, ma poi abbiamo ricevuto un’altra chiamata in cui ci dicevano di provare di nuovo perché un’altra possibilità di essere evacuati non ci sarebbe stata. A quel punto abbiamo ripreso i nostri zaini e abbiamo cercato di tornare in aeroporto, dove siamo stati una notte intera perché al checkpoint talebano non ci lasciavano passare…c’era ancora una folla immensa e la situazione era davvero terrificante, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Da lì, l’esercito polacco ci ha trasferito in Uzbekistan, e poi in Georgia e infine in Polonia.

I media internazionali hanno descritto la velocità con cui i talebani hanno riacquistato il potere come qualcosa di inaspettato. Siete d’accordo con questa interpretazione? 

Liza Schuster: Sono arrivata in Afghanistan a luglio, e la situazione era più instabile di prima. Da quando Trump aveva annunciato la ritirata delle truppe americane e Biden aveva dichiarato che avrebbe mantenuto questa linea, tutti erano convinti che il governo afghano sarebbe caduto entro settembre. Quando i Talebani hanno conquistato le province abbiamo pensato che non disponessero di un numero sufficiente di uomini per mantenere il controllo su tali territori. Abbiamo dunque ipotizzato che sarebbero entrati nelle città, avrebbero terrorizzato la popolazione locale e che questo avrebbe dato all’esercito l’opportunità di intervenire. Ma verso la fine di luglio e l’inizio di agosto, i talebani erano riusciti a mantenere il controllo sui territori conquistati e allora ci siamo chiesti: da dove vengono tutte queste persone? Da dove vengono tutti questi nuovi combattenti talebani? E la risposta era chiara: vengono dal Pakistan. I talebani avevano reclutato giovani pachistani disoccupati di etnia pashtun e li avevano portati in Afghanistan. Poi abbiamo saputo che c’erano anche combattenti che parlavano arabo e che probabilmente venivano dall’Uzbekistan. Quindi, ecco, negli ultimi giorni la velocità con cui i talebani hanno guadagnato posizioni è stata davvero sorprendente, ma è anche vero che le previsioni fatte dal governo americano e dai governi occidentali erano troppo ottimiste. Già durante la primavera molte zone dell’Afghanistan erano finite sotto il controllo talebano. 

I combattenti stranieri rappresentavano una avanguardia o costituivano la maggior parte delle forze talebane?

Liza Schuster: No, la maggior parte dei talebani viene dall’Afghanistan, ma senza i combattenti stranieri non sarebbero stati abbastanza numerosi da conquistare e mantenere il controllo sull’intero paese. Perciò hanno messo in campo un numero considerevole – anche se non più della metà – di combattenti stranieri.

Reza Hussaini: I talebani hanno centri in Pakistan che si chiamano madrasas, sono scuole religiose che raccolgono fondi e incoraggiano i giovani a combattere il Jihad in Afghanistan.

Liza Schuster: Abbiamo saputo che a chi accettava di arruolarsi venivano promesse terre e donne, e dunque molti combattenti stranieri si sono uniti. Ma i talebani hanno radici profonde in Afghanistan e in molte zone rurali godono del supporto popolare. Un altro fattore che ha contribuito a favorire l’avanzata talebana è stata la corruzione diffusa all’interno delle istituzioni afghane e il nepotismo all’interno dell’esercito: per essere nominati comandante, generale e ministro della Difesa era sufficiente essere cugini o fratelli di qualcuno, e la stessa cosa poteva dirsi per altre posizioni dirigenziali.

[a questo punto dell’intervista Reza si è dovuto allontanare]

Come valuteresti gli sforzi fatti dagli americani in Afghanistan in vista della costruzione di istituzioni statali dal 2001 in poi e la loro relazione con la classe dirigente afghana?

Liza Schuster: Nel 2015/2016 un mio caro amico che lavorava in un programma statunitense all’interno del Ministero della Giustizia afghano mi disse: “gli stranieri dovrebbero andarsene e dovrebbero smetterla di inviare denaro. Finisce tutto nelle mani dei signori della guerra, delle élites corrotte e ci sta distruggendo. Lasciateci in pace e troveremo noi il modo di sopravvivere”. Dopo vent’anni di sforzi volti a costruire delle istituzioni statali, più della metà della popolazione locale vive ancora al di sotto della soglia della povertà, e i livelli di malnutrizione sono molto alti, ci sono donne che non hanno accesso alle cliniche e bambini che non vanno a scuola. E anche quando ci vanno, la qualità dell’istruzione è piuttosto bassa. Per esempio, l’unica università decente in Afghanistan è l’Università americana, ma anche se riesci a studiarci, il titolo di studio che ti viene rilasciato non è riconosciuto al di fuori del paese. Pertanto, tutte le istituzioni – l’esercito, la polizia, il governo centrale e quelli locali, il sistema sanitario – non hanno mai funzionato. E adesso che gli americani se ne sono andati, non è rimasto più niente.

Quindi i progetti per l’emancipazione delle donne erano solo parte di una campagna mediatica concentrata in qualche quartiere cittadino?

Liza Schuster: È importante non sottovalutare il coraggio di moltissime donne che hanno corso dei rischi piuttosto elevati. Per esempio, la sorella di Reza era una poliziotta ed è rimasta bloccata a Kabul. È stata addestrata dalla Guardia di Finanza italiana. Persone come lei hanno dimostrato di essere incredibilmente coraggiose, ma il problema è che adesso che tutti se ne sono andati, lei e le altre poliziotte, o le donne che hanno lavorato in settori come l’esercito o l’amministrazione centrale, e anche le attiviste, sono state tutte abbandonate e ora devono nascondersi in casa, senza la possibilità di supportare economicamente le proprie famiglie e con il terrore di venire uccise. Quindi è vero che l’occidente ha incoraggiato una classe di donne attiviste che hanno dimostrato coraggio e hanno creduto nel discorso dei diritti e nelle promesse dei governi occidentali. Ma adesso che i soldati americani se ne sono andati, queste persone sono state abbandonate, stanno rinchiuse in casa e non possono più lavorare perché le loro vite sono in pericolo. 

Che settori/gruppi della popolazione afghana subiranno le conseguenze più pesanti ora che i talebani hanno riconquistato il potere?

Liza Schuster: Come si vede dagli attacchi che si sono verificati recentemente, uno dei gruppi più a rischio sono gli Hazara, una parte della popolazione che in maggioranza è di fede sciita. Contro questo gruppo si sono verificati attacchi diretti e su ampia scala: ci sono state esplosioni a Kunduz e Kandahar e si è registrato un alto numero di morti. Quindi gli Hazara sono sotto attacco in quanto sciiti e in quanto Hazara, perché sono uno dei gruppi che ha creduto alla retorica occidentale e che ha beneficiato delle opportunità di istruzione. Ma durante gli ultimi venti anni ci sono state parti della società e altri gruppi etnici che hanno detto: “Chi vi credete di essere? Quando riprenderemo il potere, vi rimetteremo al vostro posto”. E poi a essere in pericolo sono le donne che hanno lavorato con il governo e quelle che sono state attive nei vari gruppi per i diritti delle donne. C’è per esempio una grande rete di donne che si battono per la pace e che hanno sostenuto che avrebbero dovuto essere incluse nei negoziati di pace, ma ovviamente non lo sono state, eccezione fatta per ruoli di pura facciata. Tutte queste persone si troveranno in una situazione di vulnerabilità estrema.

Ho anche colleghi che hanno lavorato con il governo e non sono solo in pericolo per questo motivo, ma anche perché sono Hazara e di fede musulmano-sciita. Pertanto, ci sono molte persone in pericolo per più di un motivo.

In questo momento, molti cittadini afghani vogliono lasciare il proprio paese perché si sentono in pericolo. Pensi che il loro movimento sarà facilitato? Quali difficoltà dovranno affrontare per raggiungere un posto sicuro, in Europa o nei paesi confinanti?

Liza Schuster: Dal 2015 in poi, l’Unione Europea ha sempre detto all’Afghanistan di riprendersi chiunque venisse rimpatriato forzatamente da uno dei suoi Stati Membri e di fermare l’immigrazione irregolare. Quest’estate mi trovavo al Ministero per i Rifugiati e stavamo lavorando all’elaborazione di una politica migratoria esaustiva, formulata in larga parte con il patrocinio dell’Unione Europea. Improvvisamente, a quarantotto ore dalla caduta del governo, l’UE ha fatto una brusca inversione di marcia, affermando che avrebbe valutato l’operato talebano in base a quanto avrebbe permesso ai cittadini afghani di lasciare il paese.

Mi sembra interessante che alcune delle voci che sostengono l’evacuazione di certi gruppi di cittadini afghani – in particolare gli interpreti che hanno lavorato con l’esercito – appartengano ad ambienti conservatori. Penso che questo sia dovuto agli stretti legami tra tali ambienti e l’esercito. Ma il governo è caduto il 15 agosto, e ora siamo a fine ottobre, sono passati più di due mesi, e negli ultimi giorni circa 40 persone sono state evacuate dalle autorità britanniche; quindi, forse in parte le evacuazioni stanno ricominciando. Parliamo di numeri ancora piccoli – i talebani, infatti, stanno rendendo difficile la partenza delle persone, e i visti non vengono rilasciati. Ma cosa succede se i talebani decidono che non vogliono sprecare proiettili uccidendo persone a loro poco gradite, e invece permettono a tali persone di lasciare il paese? Cosa succede se l’Iran e il Pakistan decidono di aprire le frontiere e di lasciare passare le persone perché si tratta di una popolazione che professa la fede musulmana e intendono essere gentili con i loro fratelli? Cosa succederebbe se gli afghani potessero raggiungere facilmente l’Europa? Per quanto tempo i governi europei continuerebbero a dire che i talebani dovrebbero permettere alla gente di partire liberamente?

Pensi che i paesi confinanti giocheranno un ruolo importante nel contenere i flussi migratori?

Liza Schuster: È difficile dirlo… ora molti afghani stanno cercando di andare in Iran e in Pakistan, così come in Uzbekistan e in Tagikistan, e non solo per paura dei talebani e a volte nemmeno per paura dei talebani, ma perché non c’è lavoro, c’è pochissima elettricità e non ci sono riserve di valuta estera. Questo inverno sarà difficile. La gente sta cercando di attraversare le frontiere per sopravvivere, per cercare di trovare lavoro, in modo che le famiglie possano sopravvivere.  So che dal Pakistan continuano i rimpatri forzati; è possibile entrare in Pakistan solo se si pagano tangenti, ma ci sono molti posti di blocco e anche la polizia continua a dar fastidio ai cittadini afghani. Inoltre, la Turchia sta mandando messaggi molto contrastanti: da un lato ha un buon rapporto con l’Afghanistan, ma dall’altro sta costruendo un muro tra Turchia e Iran e rimpatria massicciamente gli afghani. La Turchia è molto arrabbiata con l’Unione europea, che ha fatto un sacco di promesse, e ha questo rubinetto che può aprire e chiudere: possono lasciar passare la gente in Grecia, possono costringerla ad attraversare il mare e il fiume Evros, o possono ricacciarla in Iran. Se tu, come afgano, hai abbastanza soldi per comprare un’attività o una casa in Turchia, sei salvo, ma se non hai soldi e ti trovi per strada, allora sei molto vulnerabile e non sei neppure un essere umano, sei solo uno strumento da usare contro l’Iran o contro l’Europa.

Pensi che i talebani siano cambiati?

Liza Schuster: Hanno ingannato l’Unione Europea in modo davvero astuto a luglio e agosto all’inizio, ma per quelli di noi che erano lì era chiaro che non fossero cambiati. Hanno già fatto dichiarazioni sul fatto che torneranno a tagliare le mani, le donne non possono più uscire senza un mahram[1], le ragazze non vanno a scuola. I talebani non sono cambiati affatto. Sono diventati un po’ più abili negli aspetti più tecnici della politica, e sono stati abili in termini di pubbliche relazioni, hanno detto all’Unione europea quello che voleva sentirsi dire all’inizio, fino a quando hanno riacquistato il potere, ma ora stanno affrontando alcune sfide molto serie, perché saranno molto dipendenti dagli aiuti della comunità internazionale, soprattutto quest’inverno. La comunità internazionale ha bisogno che i talebani fingano di fare certe cose per poter far arrivare gli aiuti alla popolazione afghana, perché sarà difficile rifiutarsi di mandare aiuti a persone che stanno congelando o morendo di fame.

[Reza ritorna]

Reza Hussaini: Non sono cambiati affatto. Un amico di un mio amico che cercava di attraversare un posto di blocco talebano per andare all’aeroporto si è sentito dire: “Ora il mondo ci guarda. Altrimenti ti ficcherei una pallottola in testa”, perché lui è Hazara sciita, e i talebani non rispettano affatto i diritti delle minoranze. In questo momento, stanno solo scendendo a compromessi perché il mondo li tiene d’occhio.

Liza Schuster: Un’altra nostra amica stava andando all’aeroporto accompagnata da un mahram e i talebani hanno fermato la macchina e hanno fatto aprire il portatile all’uomo per controllare i documenti. Poi il talebano gli ha messo la mano sul cuore e ha detto: “il tuo cuore batte in fretta, hai paura? Bene, dovresti averne”.  Sono in corso molti tentativi di intimidazione.

Pensi che il governo talebano sarà in grado di mettere a tacere ogni forma di dissenso? Quali sono i fronti su cui è più probabile che emergano momenti di conflitto?

Reza Hussaini: Penso che la resistenza assumerà la forma della resistenza culturale e della disobbedienza civile. Voglio dire, c’è una generazione di donne che è cresciuta negli ultimi vent’anni e non accetta le limitazioni che i talebani stanno cercando di imporre e continuerà a resistere. Ci sono minoranze – soprattutto gli Hazara, che hanno avuto accesso all’istruzione in questi vent’anni – che hanno media, giornali, università, che continuano a scrivere di quello che sta succedendo nel paese, dei talebani, delle limitazioni che vengono loro imposte, della disuguaglianza, delle migrazioni forzate e delle forme di discriminazione. Resistono contro tutto questo. Tre settimane fa, i talebani hanno preso e picchiato alcuni giornalisti che lavoravano con una delle più note piattaforme mediatiche in Afghanistan; questi giornalisti erano Hazara. Loro continuano a portare avanti questa forma di resistenza, anche se non sappiamo cosa succederà nei prossimi mesi.

Liza Schuster: Immagino che la speranza sia che i talebani stessi si spacchino e che ci sia una lotta interna che potrebbe creare uno spazio per forme di resistenza, ma d’altra parte una tale spaccatura potrebbe anche portare a una guerra civile più sanguinosa

Reza Hussaini: Sì, specialmente con Daesh. Nelle ultime due settimane due grandi esplosioni sono avvenute in moschee che appartengono agli sciiti, una a Kunduz e una a Kandahar. I talebani hanno minimizzato l’accaduto, dicendo che Daesh non è un movimento così grande in Afghanistan. In parte questo è dovuto al fatto che le esplosioni hanno preso di mira gli sciiti e quindi non destano allarme, poiché le loro vite sono considerate di minor valore.

Nelle zone rurali, i talebani hanno goduto di un certo sostegno. Invece cosa possiamo dire delle persone che lavorano nelle aree urbane? Ci sono forme di resistenza che prendono vita nei luoghi di lavoro?

Reza Hussaini: È successo… sai, ci sono state donne che hanno marciato di fronte ai talebani a Kabul recentemente, chiedendo il rispetto dei loro diritti e di poter tornare al lavoro e a scuola. Ma i talebani non le stanno ad ascoltare…

Liza Schuster: Al momento c’è un alto tasso di disoccupazione e quindi è difficile per la gente organizzarsi. È molto difficile muoversi. Conosciamo molti accademici, ma non credo che pensino di organizzarsi in termini di resistenza armata. È più il tipo di resistenza di cui parla Reza, che si materializza come presa di parola e produzione di testi scritti. Inoltre, ora la temperatura si sta abbassando e la gente sta pensando a dove trovare cibo per sfamare la propria famiglia e a come riscaldare le proprie case. La mia sensazione è che ci saranno delle forme di resistenza, ma probabilmente ci vorranno mesi prima che la gente inizi a organizzarsi.         

[1] La categoria di mahram indica un gruppo di uomini con cui una donna ha determinate relazioni di parentela (es. fratello, padre, nonno, marito, figlio, nipote, zio)

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