∫connessioni precarie

Intervista al Sindacato dei Lavoratori Latinoamericani in Polonia

Traduciamo e pubblichiamo un’intervista fatta da Matilde e Laura del Transnational Social Strike e Transnational Migrants Coordination a Rocio e Vanessa, del Sindacato dei Lavoratori Latinoamericani in Polonia. Il sindacato ha iniziato la sua attività insieme a Inicjatywa Pracownicza nel novembre 2023, in risposta al grande afflusso di migranti latinoamericani arrivati nel paese, spesso in balia di aziende, reclutatori e/o agenzie abusive.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, molti lavoratori ucraini sono stati richiamati a combattere, rendendo necessario il reclutamento di un gran numero di migranti provenienti dall’America Latina e dall’Asia meridionale. La guerra ha anche portato all’adozione di politiche sempre più razziste in Polonia, promosse dal governo di Donald Tusk, che a marzo ha approvato una legge che consente alle autorità polacche di sospendere temporaneamente il diritto d’asilo per i migranti che entrano nel paese attraverso la Bielorussia.

Negli ultimi giorni, la Polonia ha reintrodotto i controlli alle frontiere con la Germania e la Lituania, sospendendo le regole di Schengen in risposta a misure simili imposte da Berlino oltre un anno fa, mirate a ridurre al minimo il flusso di migranti.

L’aumento del razzismo, le barriere istituzionali al diritto di sciopero e le condizioni di lavoro insostenibili – come evidenziato in un’altra intervista con Bartek Kurzyca del sindacato Inicjatywa Pracownicza – offrono ai lavoratori e alle lavoratrici migranti provenienti dall’America Latina nient’altro che sfruttamento. Nei giorni scorsi, un atto violento commesso da persone latinoamericane è stato usato dai nazionalisti come pretesto per scendere in piazza e colpire non solo i latinoamericani, ma anche gli stranieri in generale. Molti lavoratori e molte lavoratrici colombiane hanno riferito di essere stati licenziati semplicemente per il fatto di essere colombiani, mentre altri sono stati molestati per strada. Come spiegano Rocio e Vanessa, molti arrivano attraverso agenzie che, dopo aver riscosso somme elevate, non si assumono la responsabilità di regolarizzare la loro posizione legale. Al contrario, sfruttando il ricatto dei permessi di soggiorno e dell’alloggio, costringono i migranti ad accettare qualsiasi salario, turno o condizione lavorativa. Alcuni si vedono offrire una sola alternativa: arruolarsi nell’esercito ucraino.

Contro questo regime di sfruttamento razzista, in cui lavoratori e lavoratrici vengono pagati anche meno dei già bassi salari polacchi – che da anni attraggono molte industrie europee delocalizzate – il Sindacato dei Lavoratori Latinoamericani si sta organizzando e lavora per raggiungere un numero sempre maggiore di lavoratori.

***

TMC: Abbiamo letto l’opuscolo pubblicato lo scorso anno in collaborazione con Inicjatywa Pracownicza sulle condizioni dei lavoratori latinoamericani in Polonia. Abbiamo visto che il numero di lavoratori migranti – soprattutto provenienti dalla Colombia – è aumentato vertiginosamente negli ultimi anni, quintuplicandosi. C’è un legame con la guerra in Ucraina, considerando che molti lavoratori ucraini sono dovuti tornare in patria per arruolarsi nell’esercito?

STLP – Rocío: Sì, dal 2022 il numero di colombiani che arriva in Polonia è in continuo aumento. La Polonia è diventata molto conosciuta nei nostri paesi, soprattutto perché – in teoria – il processo di legalizzazione qui doveva essere più semplice. Queste voci si sono diffuse rapidamente sui social media in tutta l’America Latina. Le agenzie di reclutamento promettevano di fornire tutti i documenti necessari e un lavoro con condizioni eque, ma la realtà è completamente diversa. Alcune agenzie consigliavano addirittura di non fare il visto. Un membro del nostro sindacato, per esempio, si è trovato davanti a due scelte: venire con il visto, oppure senza. Senza il visto – diceva l’agenzia – sarebbe stato più veloce ed economico. Così ha scelto quella via, pensando che sarebbe stato facile, soprattutto perché gli avevano promesso alloggio e trasporto.

In generale, i latinoamericani possono entrare in Polonia come turisti senza visto. Se un’agenzia o un datore di lavoro offre un contratto e un permesso di lavoro, il lavoratore può poi richiedere la carta di soggiorno prima della scadenza dei 90 giorni di permanenza legale. Ci sono perfino agenzie truffaldine che reclutano direttamente in Colombia. Quando i lavoratori arrivano in Polonia, l’agenzia scompare o blocca i loro numeri di telefono dopo aver preso i soldi, senza offrire alcun lavoro. Attualmente, la maggior parte delle agenzie sono ucraine e molto razziste, ma i reclutatori sono spesso colombiani o comunque latinoamericani.

Nel mio caso, quando sono arrivata ho iniziato a lavorare in un’azienda di lavorazione del pollo chiamata Plukon. Non ci hanno fornito alcun documento. Lavoravamo più di 12 ore al giorno, e se qualcuno non rispettava le regole, gli veniva detto che doveva lasciare l’alloggio, che era anch’esso gestito dall’agenzia. Quando ho chiesto lo stipendio, un uomo dell’agenzia ci ha minacciati con una pistola. Così siamo andati dalla polizia a fare denuncia. Alla fine, un’organizzazione qui a Wrocław, chiamata Nomada, ci ha aiutato. Ci hanno portati al centro comunitario Pobo e abbiamo iniziato insieme a cercare un altro lavoro. Nel mio caso sono stata fortunata: sono messicana, quindi ho più opzioni legali. Posso uscire e rientrare nell’area Schengen, e questo fa molta differenza.

Ma per i miei amici colombiani è molto più difficile. Molti di loro hanno lavorato per 90 giorni senza sapere che in quel periodo avrebbero dovuto richiedere il permesso di soggiorno. Succede continuamente, ed è un problema enorme, perché se l’agenzia per l’immigrazione ti trova senza i documenti in regola vieni espulso immediatamente. Un membro del nostro sindacato ha cambiato indirizzo e lo ha aggiornato una settimana prima della convocazione per lasciare le impronte digitali per il permesso di soggiorno. La sua procedura è stata annullata immediatamente. Qui in Polonia, una volta che la tua domanda viene cancellata o cadi nell’irregolarità, non c’è modo di tornare in regola – a meno che tu non ti sposi, ed è l’unica opzione.

TMC: Hai menzionato le agenzie ucraine che organizzano il vostro viaggio verso la Polonia. Cercano anche di portare migranti latinoamericani in Ucraina, o solo in Polonia?

STLP – Vanessa: Beh, ci sono colombiani in Polonia che vivono in condizioni talmente disperate e terribili da finire per accettare offerte per andare a combattere in Ucraina.

STLP – Rocío: Julio, ad esempio, viveva vicino a Wrocław. Aveva esperienza militare in Perù e ha combattuto in Ucraina qualche mese fa. Poi ha cercato di cambiare vita ed è venuto qui per lavorare, ma ha avuto un’esperienza molto negativa con un’agenzia di reclutamento. Dopo ha ricevuto un’altra offerta per tornare in Ucraina – ed è stato tutto molto facile. Gli hanno offerto circa 10.000 złoty (circa 3.000 euro) per andare a combattere, promettendogli cose come la cittadinanza europea e un risarcimento per la famiglia in caso gli fosse successo qualcosa.

Ovviamente, niente di tutto questo era vero. È stato reclutato da un contatto ucraino che di solito accetta persone con qualche tipo di esperienza militare o nelle forze dell’ordine, o almeno con un minimo di addestramento. Questo succede spesso, soprattutto tra i colombiani in situazioni di irregolarità, per i quali questa diventa una sorta di ultima possibilità. Julio viveva in condizioni terribili qui – era praticamente senza tetto, condivideva uno spazio con molte altre persone. Ci ha dato il permesso di condividere i video della sua esperienza, perché vuole che la gente sappia cosa sta realmente accadendo.

TMC: Qual è il ruolo dei datori di lavoro nella procedura per ottenere il permesso di soggiorno?

STLP – Rocío: Il datore di lavoro dovrebbe richiedere un permesso di lavoro presso l’ufficio governativo locale. Ma nella realtà, non lavoriamo direttamente per le aziende: lavoriamo tramite agenzie interinali, che fanno da intermediari per aziende come Shein, Realme, Colgate e Tarczyński. Il problema è che queste agenzie finiscono per avere quasi il controllo totale sul processo di legalizzazione. Molte di loro fanno addirittura pagare i lavoratori per gestire i documenti. Se non paghi, non puoi restare. Quindi i lavoratori si sentono costretti a passare attraverso queste agenzie, anche se in teoria sarebbe possibile gestire la procedura da soli. Ma in pratica è davvero difficile: tutte le informazioni sono in polacco, le procedure cambiano continuamente, ed è molto confusionario. Ecco perché spesso bisogna assumere un avvocato, affidarsi a un’agenzia o rivolgersi a organizzazioni come la nostra per ricevere aiuto. 

Abbiamo un’amica che è attualmente senza documenti, e il suo datore di lavoro le ha detto che non può licenziarsi: se lo fa, chiamerà l’ufficio immigrazione. Viene pagata poco e nemmeno puntualmente. In un altro caso, ci è stato chiesto di fare turni di 12 ore invece che di 8. Quando abbiamo rifiutato e siamo tornati a casa dopo 8 ore, qualcuno dell’agenzia ci ha seguiti e un uomo ha persino tirato fuori una pistola. È stata una minaccia chiara per costringerci a continuare a lavorare.

STLP – Vanessa: Legalmente, con il tipo di contratto che abbiamo di solito, possiamo lavorare 8 ore al giorno. Ma le agenzie spesso fanno firmare documenti separati dal contratto ufficiale, dove si accetta di lavorare 12 ore al giorno obbligatoriamente. Quindi non hai davvero scelta riguardo agli straordinari. Se rifiuti, ti licenziano – e dato che la maggior parte delle agenzie fornisce anche l’alloggio, potresti ritrovarti per strada da un giorno all’altro. E questo succede anche in inverno, che in Polonia è molto rigido. Lo scorso dicembre, ad esempio, un’agenzia aveva assunto forse dieci colombiani nei dintorni. Poi, da un giorno all’altro, li hanno licenziati tutti e hanno dovuto trovare un nuovo alloggio in pieno inverno. Se perdiamo il lavoro, abbiamo 15 giorni per trovarne un altro, altrimenti perdiamo anche il permesso.

STLP – Rocío: Quando perdi il lavoro, hai due settimane per trovarne un altro e notificare l’ufficio immigrazione. Ma è praticamente impossibile, perché ottenere un nuovo permesso di lavoro richiede più di tre mesi, e qui in città possono volerci anche sei o sette mesi. Se lavori senza un permesso valido, sei considerato irregolare, e il tuo lavoro è illegale. Quindi, in pratica, c’è un cortocircuito. L’unico modo per sopravvivere è giocare con i tempi del processo per guadagnare un po’ di margine. In questo momento, l’intero processo di legalizzazione può durare anche uno o due anni. Per esempio, se mi convocano per lasciare le impronte digitali, posso trasferire il mio caso in un altro comune. Così guadagno sei mesi o anche un anno, perché la burocrazia riparte da zero.

Succede spesso, soprattutto perché molti non riescono a sopportare le condizioni di lavoro attuali, quindi cambiano datore e saltano da un lavoro all’altro. Così il processo di legalizzazione per molte persone si allunga per due, tre o perfino quattro anni, e in tutto questo tempo non si può uscire dal paese, non si può vedere la famiglia e nemmeno fare domanda per certi lavori se non si ha la carta di soggiorno.

STLP – Vanessa: Dimenticavo di dire che alcune agenzie – e non poche – ora offrono, o in certi casi impongono, la richiesta di soggiorno come studenti. Se non accetti, perdi il lavoro. Ieri stavamo guardando i nomi di alcune scuole che usano, ma sono completamente fasulle.

STLP – Rocío: Sì, lo fanno per evitare la procedura del permesso di lavoro, perché anche se il costo è relativamente basso, poco più di 100 złoty, vogliono evitare sia il pagamento sia le lunghe attese. Così iscrivono le persone a scuole false per ottenere lo status di studente. Perché qui in Polonia, finché hai lo status di studente, puoi lavorare liberamente nel mercato del lavoro.

TMC: L’aumento della violenza alle frontiere ordinato dal presidente polacco Tusk ha portato anche a un aumento del razzismo nel paese?

STLP – Rocío: Sì, negli ultimi mesi abbiamo visto un aumento dei controlli da parte della polizia di frontiera, soprattutto nelle fabbriche. Ci sono state molte notizie di deportazioni di massa, non solo di colombiani, ma anche di tante persone che lavorano in modo irregolare. Anche se stai aspettando da tempo il permesso di soggiorno, puoi comunque essere trattenuto – a volte per un giorno o più – finché non “verificano” la tua situazione. Poi, in molti casi, ti dicono semplicemente che il tuo processo è stato annullato e ti ordinano di lasciare il paese, anche se la tua domanda è ancora attiva.

Questo sta accadendo sempre più spesso. Solo negli ultimi due o tre mesi, un membro del nostro sindacato ha vissuto una situazione del genere. Per questo abbiamo iniziato a organizzare una sorta di gruppo di risposta SOS, per aiutare le persone in emergenze di questo tipo, perché può succedere in qualsiasi momento, giorno o notte, ed è essenziale che la persona abbia almeno accesso a un avvocato. In quel caso specifico, tra l’altro, non è nemmeno successo in fabbrica: sono andati direttamente a casa sua.

TMC: Come avete iniziato a organizzarvi? Hai menzionato la linea SOS – ma per quanto riguarda il sindacato vero e proprio? Quando e come è nato?

STLP – Rocío: Abbiamo iniziato nel novembre 2023, esattamente due mesi dopo il nostro arrivo qui. Una parte di noi –  lavoratori e lavoratrici colombiani – aveva vissuto l’esperienza della fabbrica di lavorazione del pollo. L’idea è nata da Freddy (che oggi fa parte di STLP), Tomek di Nomada e Magda di IP. Ci hanno chiesto se volevamo creare un sindacato, perché era chiaro che serviva iniziare a informare le persone e cercare un aiuto organizzato. È così che è cominciato. È partito quando sempre più persone hanno iniziato a rivolgersi a Nomada per problemi legati al lavoro, un ambito che prima non affrontavano tanto spesso. Freddy, essendo colombiano, è riuscito a entrare in contatto con molte persone del Sud America.

Ci siamo rivolti a IP perché ci conoscevamo già da anni – tramite Nomada, persone dell’associazione come Tomek, e tramite i centri sociali, gli squat e le esperienze di attivismo precedenti. IP è stata invitata a un incontro con i lavoratori e le lavoratrici che ci avevano contattato per problemi sul lavoro, e lì è nata l’idea di creare una commissione – un gruppo di persone che si sostiene a vicenda e si incontra regolarmente. Tuttavia, la legge ci garantisce pochissimi diritti o tutele, quindi la commissione è piuttosto informale.

I diritti dei lavoratori in Polonia sono molto limitati. Non possiamo nemmeno presentare un reclamo formale all’ispettorato del lavoro: se sei senza documenti, non hai alcun diritto. Anche le manifestazioni richiedono sempre un permesso, perfino quella dell’8 marzo per la Giornata delle Donne. L’anno scorso, in effetti, abbiamo fatto un piccolo sciopero davanti all’ufficio immigrazione per attirare l’attenzione sul fatto che nessuno parlava inglese – nemmeno negli sportelli per stranieri – e non ci permettevano di usare un interprete. Però ha funzionato. Il giorno dopo hanno assegnato una persona che parlava inglese, e hanno anche sistemato il distributore di numeri per gli appuntamenti. Non è ancora efficiente, ma almeno ora funziona.

STLP – Vanessa: C’era anche interesse a organizzare un sindacato in una fabbrica di carne della Bassa Slesia, specificamente un sindacato di lavoratori e lavoratrici latinoamericani. Ne abbiamo parlato con IP, ma c’è un problema: qui in Polonia esistono due tipi di contratto di lavoro – uno migliore e uno peggiore. L’umowa o pracę (contratto di lavoro subordinato) è considerato il contratto migliore, perché garantisce diritti fondamentali come ferie retribuite, malattia, preavviso, straordinari pagati e contributi pensionistici. Tuttavia, la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici migranti – e anche molti polacchi – sono assunti con un umowa zlecenie (contratto di mandato), ovvero un cosiddetto “contratto civile”, che spesso viene abusato dai datori di lavoro per evitare di riconoscere i diritti basilari.

Per costituire legalmente un sindacato servono almeno dieci lavoratori con un contratto “migliore”. In alternativa, si può formare una commissione sindacale, che funziona più come un’associazione, ma non ha diritti o poteri reali sul posto di lavoro. Questo è il modello che stanno usando attualmente molti migranti delle Americhe. Se si riescono a trovare 10 persone assunte dallo stesso datore di lavoro (cioè con contratto firmato direttamente dalla stessa azienda – non da agenzie o intermediari, che contano come datori diversi), allora si ottengono i diritti previsti dalla legge.

TMC: Siete in contatto con altre organizzazioni di migranti, sia in Polonia sia nel resto d’Europa?

STLP – Rocío: Di recente sono entrata in contatto con un collettivo di donne in Spagna grazie al mio lavoro con PICUM. Le ho incontrate due settimane fa, e si sono offerte di aiutarci. Abbiamo preso contatti anche con persone nei Paesi Bassi. Qui in Polonia, non ci sono molte realtà latinoamericane. Esiste un grande gruppo di donne che si chiama Latinas in Poland, ma la maggior parte di loro è qui per altri motivi: sono venute a studiare, lavorano nel settore IT o sono sposate con polacchi. Quindi il contesto è molto diverso dal nostro.

C’è anche un gruppo di una scuola di lingua che unisce donne di varie parti del mondo: Nigeria, Ucraina, Kirghizistan, e altri paesi. È un gruppo molto eterogeneo, e potrebbe esserci la possibilità di collaborare anche con loro. Penso che si possano trovare modi per lavorare insieme, soprattutto per i diritti delle donne migranti nel mondo del lavoro, perché molte di loro sono anch’esse lavoratrici. Stiamo cercando di costruire qualcosa, anche se qui in Polonia è tutto molto nuovo, e la situazione è davvero complessa.

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