via Transnational Social Strike Platform
Dall’India, all’Italia, fino alla Polonia, lo sciopero non è solo lo strumento per imporre ai padroni un aumento di salario fisso e legato all’inflazione, ma un modo di riaffermare il salario come campo di battaglia anche contro guerra e militarismo – e con essi razzismo e la crociata contro i migranti, che diventano sempre più un terreno di mobilitazione e organizzazione ineludibile, dentro e fuori il lavoro. Infatti non mancano gli attacchi dei governi agli scioperi e alle forme di organizzazione, dal decreto sicurezza, al codice indiano che ora criminalizza altre forme di protesta paragonandole a scioperi, alla legge sullo sciopero polacca che oltre ad essere una delle più restrittive d’Europa è sempre più ostaggio di grandi compagnie private che se ne servono a loro piacimento. Mentre l’India si inserisce nella tendenza globale in cui la migrazione è dipinta sempre più come una minaccia alla sicurezza, questo sciopero generale nazionale è stato espressione di una lotta più ampia, legata alle lotte delle e dei migranti. Per i sostenitori dello sciopero diritti dei lavoratori e la cittadinanza sono profondamente legati: cittadinanza non significa solo avere un passaporto, ma anche poter lavorare con dignità. Significa avere accesso alle tutele sul lavoro, non essere costretti a svolgere lavori precari, mal retribuiti e informali. Ma soprattutto, significa avere voce in capitolo e il diritto di sindacalizzarsi e lottare collettivamente per condizioni migliori.
Modi tera kya bharosa! (Modi non ci si può fidare di te!)
Modi teri tanashahi nahi chalegi nahi chalegi! (Modi, la tua dittatura non funzionerà!)
26,000 se kum nahi! (non meno di 26.000 rupie come salario minimo!)
Nel distretto di Sabarkantha, in Gujarat, luogo di nascita del Primo Ministro Narendra Modi, questi slogan hanno risuonato con forza. Attraverso i social media di Kisan Sabha (organizzazione di lavoratori agricoli), CITU (Centro dei sindacati indiani) e CPIMC (Partito Comunista Indiano Marxista) abbiamo visto i pugni alzati e le bandiere rosse di centinaia di migliaia di lavoratori scesi nelle strade di tutta l’India per partecipare al più grande sciopero generale (Bharat Bandh) della storia indiana, tenutosi il 9 luglio.
Come previsto, con regolare puntualità, i media televisivi mainstream indiani hanno trovato titoli più avvincenti di uno sciopero che partecipato da 250 milioni di persone. Denunciare il loro silenzio che sembra quasi rituale, serve a rendere evidente l’assenza di copertura mediatica, che non rappresenta un’eccezione, ma una regola. Nonostante questa volta ci fosse una sottile speranza: forse la portata delle proteste avrebbe rotto il silenzio, i milioni di persone scese in strada e nelle piazze forse meriterebbero attenzione? meritano almeno una menzione. Com’è possibile ignorare il più grande Bharat Bandh? Apparentemente, il silenzio è la linea editoriale più sicura.
Lo sciopero è stato indetto in risposta ai quattro codici del lavoro introdotti nel settembre 2020 dal BJP (Bharatiya Janata Party, il partito conservatore indiano al governo dal 2014), che sono tuttora in lenta attuazione. Presentati come riforme per universalizzare i salari minimi, garantire un pagamento puntuale, livelli maggiori di sicurezza sul lavoro e migliori condizioni, i quattro codici promettevano di assicurare una spinta alla crescita economica. Il 20 settembre Narendra Modi ha twittato “Le riforme sul lavoro garantiranno maggiori agevolazioni alle imprese. Queste sono leggi orientate al futuro e vogliono rafforzare le aziende…”
La realtà è diversa, questi codici possono considerarsi un progetto per sfruttare ulteriormente lavoratori e lavoratrici. Il Centro dei sindacati indiani (CITU) ha infatti criticato duramente il governo:
“Nella loro totalità, i quattro codici del lavoro impongono condizioni di schiavitù virtuale sui lavoratori, favorendo la classe imprenditoriale sfruttatrice.”
I ventinove precedenti codici del lavoro sono stati sostituiti da quattro:
1. Codice sulle relazioni industriali
2. Codice sui salari
3. Codice sulla sicurezza e la salute sul lavoro
4. Codice sulla previdenza sociale
In questo modo si sono ridotte e persino eliminate forme di sicurezza sul posto di lavoro e diritti fondamentali come il salario minimo, gli orari fissi e la sicurezza occupazionale. Evidentemente, la nuova legislazione priva i lavoratori dei loro diritti fondamentali, conferendo invece ancora più ampi poteri ai datori di lavoro e alla burocrazia. Sul sito del CTU è disponibile un’analisi dettagliata di questi codici. Tra questi, il più preoccupante è il codice sulle relazioni industriali, che incorpora la legge sui sindacati, quella sui conflitti industriali e sul lavoro industriale. Così si rendono molto più facili licenziamenti, le chiusure e le sospensioni. I lavoratori delle aziende con meno di 50 dipendenti possono essere licenziati senza avere alcun diritto a risarcimenti. Inoltre, il termine “sciopero” è stato ampliato così tanto che anche proteste pacifiche potrebbero essere criminalizzate e punite con multe o carcere, e i sindacati possono essere facilmente sciolti.
Inizialmente, il Ministero del Lavoro aveva annunciato che circa 213 sindacati, insieme al Bhartiya Mazdoor Sangh (BMS), il più grande sindacato indiano vicino all’RSS (milizia paramilitare indiana di estrema destra e vicina al governo) non avrebbero partecipato allo sciopero. Tuttavia, un articolo pubblicato dal quotidiano The Hindu ha parlato di come i sindacati centrali (CTU) avrebbero rivelato come il governo stesse esercitando pressioni e tentasse di intimidire i lavoratori. Nonostante ciò, i sindacati della CTU hanno rilasciato una dichiarazione ferma, prevedendo il successo dello sciopero nonostante le intimidazioni.
Oltre ai codici contro i lavoratori, un’altra questione importante è la privazione arbitraria dei diritti che riguardano lavoratori e lavoratrici migranti. Maktoob Media ha riportato che nello stato di Odisha 444 lavoratori migranti sono stati arrestati con l’accusa di essere Rohingya o cittadini del Bangladesh. Coloro che sono stati arrestati erano impiegati principalmente nel settore dell’edilizia, nelle miniere o all’interno di altri siti industriali. Allo stesso modo, nello stato del Bihar, la commissione elettorale ha implementato una revisione della legge elettorale in vista delle elezioni dell’Assemblea legislativa, ostacolando il diritto di voto per i lavoratori migranti. La maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici migranti che adesso lavora a Delhi non ha mai sentito parlare di questa nuova norma che li obbliga a registrarsi nuovamente per poter votare, e chi ne è a conoscenza non sa come fornire i documenti richiesti dalla commissione elettorale. La nuova procedura richiede che tutti gli elettori dello Stato firmino moduli del censimento, in duplice copia, contenenti indirizzo, nome e fotografia stampata. Successivamente, gli elettori devono restituire tali moduli con fotografie aggiornate e un documento di identità, insieme a un documento che attesti la loro residenza. Tuttavia, coloro i cui nomi non figuravano nelle liste elettorali del 2003 dovrebbero presentare ulteriori documenti a dimostrazione della loro cittadinanza. Molti lavoratori migranti che avevano intenzione di tornare a casa per votare alle elezioni dell’Assemblea si trovano di fronte a un grande dilemma, poiché possiedono solo due documenti d’identità che sono stati dichiarati non validi dalla commissione elettorale.
Il 10 luglio, l’Indian Express ha pubblicato un articolo che riportava alcune interviste fatte a lavoratori migranti a Delhi, come Dinesh Das (35 anni), che consegna frutta e verdura ad Azadpur Mandi, il più grande mercato all’ingrosso dell’Asia. Dinesh Das è membro della Other Backward Class (OBC) e racconta di come è stato informato di questa nuova riforma elettorale tramite un avvocato nel suo paese di origine:
“L’avvocato mi ha detto che ho bisogno del passaporto, del certificato di nascita, della pagella scolastica e del certificato di casta. Non ho mai avuto bisogno di questi documenti perché non ho mai studiato né ho mai fatto domanda per lavori che prevedevano una quota di casta. Se fossi istruito, starei forse a trasportare frutta? Dove prenderò questi documenti?”. Das denuncia anche i problemi legati alle tempistiche previste. “L’avvocato mi ha detto che devo presentare tutti questi documenti entro un mese e che devo tornare a casa se voglio che il mio nome rimanga nella lista degli elettori. In questo periodo dell’anno, io qui riesco a trovare un lavoro dignitoso perché c’è la stagione dei manghi e c’è tanta frutta. Se torno a casa, perdo i miei guadagni”.
Per i lavoratori migranti provenienti da stati come il Bihar, il voto non è solo un diritto democratico, ma una prova fondamentale della loro cittadinanza. Molti lavoratori migranti che si recano in città come Delhi in cerca di migliori opportunità lavorative, spesso non hanno alcun documento locale che provi la loro residenza. Quindi partecipare al voto ed essere iscritti nelle liste elettorali, garantisce il riconoscimento del loro status giuridico. Essere esclusi dalle liste elettorali, d’altra parte, potrebbe significare molto di più per i lavoratori migranti che la semplice perdita del diritto al voto.
I partiti dell’opposizione hanno anche indetto lo sciopero generale per protestare contro queste procedure. I sindacati, tuttavia, hanno accusato i partiti di aver cercato di strumentalizzare la mobilitazione. Il presidente dell’Hind Mazdoor Sabha Harbahajan, Sing Sidhu, ha affermato che l’INDIA BLOC non ha menzionato le preoccupazioni relative ai codici di lavoro o le loro richieste, e che avrebbero approfittato della mobilitazione per interessi personali. Sidhu ha inoltre aggiunto che il partito di opposizione avrebbe potuto scegliere un altro giorno se voleva fare uno sciopero nazionale.
Purtroppo, lo sciopero non ha avuto grande impatto nelle città principali come Delhi e Mumbai, ma altrove la partecipazione è stata massiccia. Ad Assam, Pondicherry, Bihar, Jharkhand, Punjab, West Bengal, Odisha, Karnataka hanno visto una forte mobilitazione e il Kerala – uno stato del Sud – ha vissuto una paralisi quasi totale con 2,7 milioni di lavoratori del settore elettrico in sciopero contro la privatizzazione. In tutta l’India rurale c’è stata una vasta mobilitazione di contadini, lavoratori agricoli e informali, ma anche di studenti, giovani, attivisti e moltissime donne in prima linea. Dai marinai indiani che sventolavano le bandiere rosse del FSUI (Forward Seamans Union of India) al fermo completo delle attività all’interno del Coal India Ltd, questo sciopero nazionale è stato una potente dimostrazione di solidarietà e determinazione tra lavoratori di diversi settori e agricoltori. Lo sciopero non è stato visto semplicemente come una protesta contro le leggi sul lavoro, ma come un’espressione più ampia delle condizioni economiche predominanti e come l’inizio di una lotta più grande. Lo slogan “Abhi toh angdayi hai…Aage aur ladai hai” – “Questo è solo il primo passo…la lotta continuerà” – è risuonato ovunque, cogliendo perfettamente lo spirito delle proteste, un segnale che questo è soltanto l’inizio.