∫connessioni precarie

“Quando il Sindoor diventa polvere da sparo”. Nazionalismo patriarcale e militarizzazione del femminile nel conflitto Indo-Pakistano

Pubblichiamo un testo in cui Masha Hassan ricostruisce l’intreccio tra patriarcato, militarismo e razzismo alla base dei bombardamenti indiani in Pakistan, in seguito all’omicidio di ventisei turisti indiani nel Kashmir lo scorso aprile. Propagandato come un gesto dovuto per vendicare le vedove e difendere le donne indiane da attentatori musulmani, l’operazione di guerra Sindoor – come il pigmento che marchia le donne maritate – ha assunto le fattezze di una messa in scena patriarcale in cui le violenze quotidianamente subite dalle donne kashmire per mano dell’esercito indiano sono state sistematicamente cancellate.

Mentre i bombardamenti per il momento si sono arrestati, Masha ci ricorda che la guerra non termina con l’ultima bomba sganciata: si insinua nelle maglie della società, legittimando l’umiliazione quotidiana, nobilita il razzismo contro intere comunità e la violenza patriarcale in nome della difesa patriottica. A non fermarsi è del resto la china militarista che, nella Terza guerra mondiale, pretende di arruolare, in India come in Israele, in Ucraina come in Europa, pezzi di società, cancellando le ragioni e le parole di chi si oppone alla violenza quotidiana che la guerra alimenta e legittima.

***

Il 22 aprile, ventisei turisti indiani sono stati uccisi da cinque terroristi a Pahalgam nella valle di Baisaran, nel Kashmir occupato dall’India. Fra di loro c’era un abitante del luogo che aveva cercato di strappare l’arma a uno dei militanti nel tentativo di fermare gli attacchi.

Siamo onesti! Alla base dell’attentato di Pahalgam c’è una significativa falla nella sicurezza. Ci si potrebbe chiedere com’è possibile che questi eventi si siano verificati all’interno di una delle zone più militarizzate del mondo. Il governo guidato da Narender Modi, dopo aver abrogato l’Articolo 370 (che garantiva uno status di autonomia limitata alla regione e ai suoi abitanti) ha ulteriormente schierato 50,000 militari e personale paramilitare, che si aggiungono ai 700,000 già di stanza. Com’è possibile che quanto è successo sia accaduto in una regione che si suppone sia sotto la salda presa dell’India e della sua tecnologia di sorveglianza?

I resoconti dei media indiani suggeriscono che gli assalitori fossero attivi da molto tempo, e che abbiano interrogato le loro vittime riguardo alla loro appartenenza religiosa prima di giustiziarli. Se questi resoconti sono attendibili, ciò significa che gli attentatori non erano solo ben organizzati ma hanno avuto tutto il tempo necessario per giustiziare indisturbati. E questo mentre l’accampamento dell’esercito distava solo 3 km in una regione così pesantemente militarizzata che non si può nemmeno attraversare il mercato senza incorrere in una serie di controlli.

E in tutto questo dov’erano i droni?

L’India, piuttosto che interrogarsi sulle proprie mancanze, ha rapidamente incolpato il Pakistan senza nessuna indagine o prova. Queste accuse senza alcuna credibilità sono state seguite da un’insensata aggressione. I principali mass media indiani, ormai un’estensione de facto del governo Modi e dell’Hindutva, hanno soffiato sul fuoco della retorica anti-Pakistana e anti-musulmana.

Poco dopo l’attentato, Modi ha tenuto un discorso in Bihar e ha definito l’attacco di Pahalgam un’aggressione all’anima dell’India, promettendo all’intera nazione una punizione esemplare non solo per gli aggressori, ma anche per chi li ha sostenuti. Questa dichiarazione ha fatto sì che il pubblico cantasse “Modi Modi”.  Il 6 maggio il governo ha lanciato l’operazione Sindoor.

Operazione Sindoor

L’immagine di Himanshi Narwal seduta accanto al corpo del marito a Pahalgam è stata definita stoica. Questa fotografia è stata insensibilmente trasformata in una versione fumetto in stile Studio Ghibli ed è diventata tanto il simbolo virale di una carneficina quanto un catalizzatore della guerra. L’immagine di una giovane donna sposata con un ufficiale della Marina, rimasta vedova durante la loro luna di miele per mano di “musulmani” nel Kashmir occupato dall’India, è circolata su tutti i social media. Un’azione strategica per suscitare il fervore nazionalistico e raccogliere il sostegno per un’azione militare di rappresaglia. Ma soprattutto l’immagine, carica di significati, è diventata un veicolo di ciò che rappresenta e di ciò che dovrebbe rappresentare per il popolo indiano.

Il Sindoor o Sindura è una polvere vermiglia che le donne indù indossano tradizionalmente sotto la scriminatura dei capelli come segno del loro stato civile. Nei rituali matrimoniali indù, applicare il Sindoor significa augurare la longevità del marito e giurare di proteggere il suo benessere. Quando una donna diventa vedova, non può più indossare il Sindoor. L’attacco di Pahalgam è stato quindi rappresentato come un attacco al Sindoor.

Questa immagine è diventata l’ispirazione per la rappresaglia militare contro il Pakistan. Un “omaggio” per tutte le donne rimaste vedove a causa dell’attacco terroristico. Una missione e una responsabilità assunta dal governo indiano per ripristinare l’onore di una donna. L’operazione Sindoor, se analizzata secondo un profilo patriarcale, mostra quindi implicazioni più ampie. Questo sentimento a favore della guerra collega l’onore dello Stato nazionale alle donne del Paese. Implicando che lo stato civile di una donna sia l’unico aspetto che definisce la sua vita, riduce la sua individualità al ruolo socialmente assegnato di moglie.

Fondere simboli religiosi di genere e aspirazioni militariste significa forgiare un legame emotivo tra la vita delle donne indù e gli obbiettivi dell’esercito indiano. Questo, a sua volta, diventa un’estensione del significato culturale del rosso vermiglio all’interno della coscienza indiana.

L’India ha già vissuto una storia dolorosa nel 1947, quando i corpi delle donne furono trasformati in strumenti del conflitto, usati come simboli di vendetta, onore e vergogna. L’operazione Sindoor è una preoccupante replica di quella stessa eredità. Ancora una volta, questa ricerca di ulteriori massacri è armata dal lutto delle donne e dei loro legami familiari. La violenza rinnovata nella forma di bombardamenti non ha portato nessun sollievo reale alle donne che piangono i loro mariti; al contrario, ha soltanto esacerbato il loro dolore. Inoltre, ha creato nuove ferite sulle donne che vivono oltre il confine e che si sono trovate, o hanno trovato i loro familiari, tra le vittime civili causate dagli attacchi aerei indiani. Quando lo Stato usa la sofferenza delle donne come grido di battaglia, le tradisce, cancellando la loro voce e privandole dei loro diritti di cittadine e della loro umanità.

Un buon esempio di come la voce delle donne venga messa a tacere in tempo di guerra è stato quando Himanshi Narwal, durante un’intervista, ha lanciato un appello per la pace, esprimendo il desiderio che non venisse diretto odio verso i kashmiri o i musulmani. Come conseguenza dell’essersi espressa contro la guerra, Narwal non solo è stata brutalmente e pubblicamente denigrata, ma ha anche ricevuto minacce di stupro sui social media da parte di boriosi fanatici Hindutva pro-guerra.

In una successiva intervista, Narwal ha cambiato la propria posizione e ringraziato il governo per l’Operazione Sindoor, dicendo: “Sono grata al governo e questa dovrebbe essere l’inizio della fine del terrorismo… Chiedo al governo di non fermarsi qui e di assicurarsi che ogni persona che vuole attaccare la pace, che vuole creare terrore, che vuole diffondere l’odio venga eliminata”.

La teorica politica americana Cynthia Enloe dice giustamente che “le guerre delle donne non sono le guerre degli uomini”. Questa affermazione sottolinea un’importante distinzione nel modo in cui le donne vivono la guerra e il conflitto, e come le loro storie siano per lo più messe in ombra e strumentalizzate.

Durante una conferenza pubblica tenuta all’Università di Westminster intitolata “Come capire se si sta diventando militarizzati”, Enole ha discusso di come i presupposti e i valori militari si infiltrino nella vita quotidiana e negli spazi comuni. Ha in particolare sottolineato il potere dell’immaginario visivo mettendo in guardia dall’uso sconsiderato di immagini e dal modo in cui possono rafforzare narrazioni dannose.

Enloe ha sfidato i media tradizionali che capitalizzano su rappresentazioni riduttive delle donne nei conflitti bellici. Che si tratti delle immagini virali delle vedove dell’attacco di Pahalgam o delle vedove kashmire, ciò che diventa indubbiamente chiaro è che “la guerra delle donne non è la guerra degli uomini”. Mentre il loro dolore assume un valore estetico, nessuno chiede il loro consenso, se desiderano che questa violenza continui in loro nome. Analizzare l’Operazione Sindoor è importante per comprendere l’attuale conflitto tra India e Pakistan, il modo in cui la guerra degli uomini viene modellata intorno alla rappresentazione simbolica del corpo delle donne.

Un’altra immagine ampiamente condivisa che ha dominato i social media durante lo stallo tra India e Pakistan è stata quella della colonnella Sofia Qureshi, il quale, insieme al comandante Vyomika Singh, ha condotto il briefing con i media per l’operazione Sindoor. All’interno di questo grande circo di presunzione geopolitica, porre la colonnella Qureshi – una donna musulmana – come volto pubblico di questa operazione è stato evidentemente un gesto da manuale di tokenismo laico, ma anche una cooptazione del femminismo per legittimare la violenza sponsorizzata dallo Stato.

I media indiani hanno celebrato questo evento come una pietra miliare per  l’inclusione delle donne indiane nell’esercito. Tuttavia, sotto questa brillante facciata di inclusività si nasconde una realtà più oscura: la violenza quotidiana e normalizzata, l’umiliazione e il linciaggio dei musulmani e dei Kashmiri in questo paese. Questo velo di presunta rappresentatività è ben lontano dall’unità o dall’emancipazione: esso ha,  piuttosto, lo scopo di mascherare le atrocità e mantenere intatte queste strutture oppressive. La dichiarazione sprezzante di un ministro del partito al governo, Vijay Shah, nei confronti della colonnella Qureshi, ha smascherato molto rapidamente questa falsità dell’inclusione e ha messo in evidenza l’odio profondo sottostante:

“Loro (i terroristi) hanno ucciso i nostri fratelli indù facendogli togliere i vestiti. Modi ha risposto mandando le sorelle dei terroristi in un aereo dell’esercito per colpirli nelle loro case. Loro (i terroristi) hanno reso vedove le nostre sorelle, così Modi ha inviato  le loro stesse sorelle per colpirli e dar loro una lezione”.

Sempre più tweet e immagini inquietanti e titoli problematici a favore della guerra hanno continuato a emergere in rinomati giornali e canali mediatici indiani. Il Telegraph, ad esempio, ha pubblicato un articolo dal titolo “L’India lo dice forte e chiaro: i terroristi hanno ‘risparmiato’ le donne, ma le donne indiane non li risparmieranno”. Rappresentare l’esercito indiano come un nobile guardiano delle donne è un insulto a quelle che ne hanno subito la brutalità. I titoli che non diventano mai virali sono le profonde violazioni di diritti umani dell’esercito indiano in Kashmir. Un report del 2006 di Medici Senza Frontiere ha rivelato come la violenza sessuale sia comunemente usata contro le donne kashmire per intimidire e terrorizzare l’intera comunità. Non dimentichiamo il caso di Kunan Poshpora, in cui quattro membri dell’esercito indiano hanno violentato 23 donne in Kashmir con la scusa di rintracciare dei militanti. Un incidente simile è avvenuto in un’altra terra di confine indiana, il Manipur, dove Manorama è stata brutalmente violentata, torturata e colpita ai genitali dai fucili del gruppo paramilitare Assam Rifles. L’omicidio di Manorama ha portato le donne Manipuri a protestare nude davanti al quartier generale degli Assam Rifles.

All’ombra di Pahalgam

L’attacco di Pahalgam ha gettato una lunga e cupa ombra sulle vite dei kashmiri e dei musulmani indiani, riaccendendo l’estenuante ciclo in cui siamo costretti a dare prova della nostra lealtà alla nazione ogni volta che una violenza viene inflitta da qualcuno che condivide la nostra fede o la nostra identità — come se fossimo personalmente responsabili delle azioni degli aggressori. Come conseguenza dell’attacco, giornalisti indiani e influencer come il popolare B Boys, sono stati visti girare per il Kashmir e fare pressione sulla gente del posto per parlare dell’attacco di Pahalgam. “Perché non dite Bharat Mata ki Jai (lunga vita alla madre India)? Perché non uscite a protestare? Perché non vi esprimete contro questo attacco?”. Dopo aver fatto scorrere la fotocamera del suo telefono su vari volti inquieti, l’influencer gira poi la telecamera su se stesso ed emette il verdetto: “Tutto sembra normale… le persone approvano… ma chiunque stia sostenendo questo attacco è anche un terrorista”.

Nel giro di una settimana, il video intitolato Yeh hai Kashmir ka Kala truth (Questa è l’oscura verità del Kashmir) ha ottenuto 2,5 milioni di visualizzazioni, la sezione dei commenti si è riempita di elogi, gli spettatori hanno virtualmente reso onore al coraggio dell’influencer per il “vero giornalismo”. Sbattere le telecamere in faccia alle persone per ottenere parole patriottiche non è giornalismo, ma un rituale coercitivo che chiede a kashmiri e musulmani un’esibizione di nazionalismo. Quello che B Boys ha dimenticato di filmare sono le donne kashmiri che protestano per le strade condannando questo attacco terroristico in varie parti della valle. La più importante organizzazione commerciale della regione, l’Associazione dei commercianti e dei produttori del Kashmir (KTMA), ha promosso una chiusura completa.

È emerso un altro filmato in cui un giornalista cerca di mettere in cattiva luce un ragazzino musulmano per le sue opinioni pacifiste. Dopo averlo spinto a denunciare il Pakistan, il giornalista gli dice “Non ti vergogni… Non sei indiano” e il ragazzo risponde: “Sono indiano… Tutti hanno il diritto di vivere.

Vorrei ora condividere un passaggio da un breve pezzo scritto dal romanziere kashmiro britannico Mirza Waheed, intitolato “In Kashmir, anche il dolore deve superare una prova di fiducia”. Waheed scrive:

“Come prevedibile, l’esame sull’umanità dei kashmiri è in pieno svolgimento. Ora i kashmiri devono esibire un certo tipo di umanità per essere riconosciuti come esseri umani a pieno titolo con libero arbitrio e una storia, con rivendicazioni e idee politiche, cuori e anime. Non solo devono provare dolore, ma devono anche dichiararlo esplicitamente, confessarlo e sbandierarlo… come se l’aspettativa a ciò connessa non implicasse il doversi astenere dal ricordare o rammentare agli altri i propri traumi e sofferenze senza limiti e il proprio silenziamento. Poiché questo è accaduto nel vostro bel prato, dovete mostrare totale e incondizionato rimorso, dimenticando che noi controlliamo il prato, la valle, i suoi borghi e i suoi confini, le sue vene e le sue arterie, e ci sediamo sul suo cuore con tutte le nostre forze.”

Delhi ha orgogliosamente annunciato di aver attaccato nove diverse località del Pakistan, compreso il Kashmir sotto amministrazione pakistana, in nome dell’antiterrorismo. Afferma che si tratti di “infrastrutture terroristiche”, ponendo particolare enfasi sul fatto di non attaccare le strutture militari pakistane nel tentativo di evitare qualsiasi tipo di escalation. 31 persone sono state uccise e 57 civili sono rimasti feriti in Pakistan, mentre 15 civili uccisi e 43 feriti in India a causa dei contrattacchi del Pakistan sul confine. Il ministro pakistano Khawaja Asif ha dichiarato a un notiziario, durante le prime ore dell’attacco, che aree civili erano state prese di mira e che non vi erano basi terroristiche in quelle zone.

Coloro che sostengono con più fervore e passione la guerra sono spesso coloro che sono meno colpiti dalle sue rovine. Non sono quelli che perdono le loro case o i loro cari a causa degli attacchi aerei e della spietata macchina del militarismo. Molti credono che un conflitto finisca con l’ultima bomba sganciata e con l’ultimo proiettile sparato. Purtroppo, la distruzione della guerra si estende ben oltre il campo di battaglia. Si insinua in profondità nelle società, sancendo umiliazione, ammantando il bigottismo di patriottismo e fornendo una copertura morale per la lenta e sistematica eliminazione di intere comunità. L’esclusione di queste comunità è dovuta alla loro fede, alla loro etnia o al fatale accidente di essere nati in un certo Paese. La loro semplice presenza si trasforma in una provocazione. I guerrafondai difficilmente parlano di questa violenza perché non sperimentano la chiusura dei confini, la crudeltà di essere ridotti a una minaccia.

Questo è esattamente ciò che i kashmiri e i musulmani indiani affrontano quotidianamente in India, e ora l’attacco di Pahalgam è diventato un pretesto opportunistico per disumanizzarci ulteriormente. Ecco un elenco di episodi che hanno avuto luogo dopo Pahalgam:

Studentesse kashmire aggredite all’interno delle università indiane, venditori di scialli kashmiri picchiati da uomini nelle strade dell’Uttarakhand, commercianti kashmiri aggrediti pubblicamente da gruppi della destra indù, 1500 kashmiri detenuti dalle autorità per sospetto di terrorismo, case di musulmani kashmiri nella valle rase al suolo e abbattute da bulldozer come forma di “giustizia”, immagini strazianti di famiglie separate al confine tra India e Pakistan a causa dell’improvvisa cancellazione dei visti da parte del governo indiano, aumento dei discorsi di odio e dei raduni organizzati da gruppi di destra indù contro i musulmani in tutta l’India, carretti di venditori ambulanti musulmani dati alle fiamme nello Stato dell’Haryana, monaci religiosi indù che chiedono un boicottaggio economico completo dei venditori musulmani, aumento dei linciaggi di musulmani per il sospetto di trasportare carne di manzo e molte altre cose che non vengono documentate.

Il Primo Ministro pakistano Shehbaz Sharif ha espresso la volontà e il desiderio di tenere colloqui di pace con l’India, ma quest’ultima ha posto le sue condizioni, dichiarando che i colloqui di pace si terranno solo se il Pakistan consegnerà il Kashmir e i suoi terroristi al governo indiano.

Nel frattempo, l’attore principale di questo dramma iper-nazionalistico, Narender Modi, ha tenuto un discorso magniloquente e carico di emozione in un comizio a Bikaner, nel Rajasthan,  seguendo una sceneggiatura melodrammatica e mettendo in scena una rabbia accuratamente coreografata, come l’atto finale di un film di Bollywood. In questo trionfo teatrale, ha dato vita alla sua performance da blockbuster:

“In 22 minuti abbiamo distrutto 9 postazioni terroristiche…. il mondo e i nemici saranno ora testimoni di ciò che accade quando il Sindoor si trasforma in polvere da sparo, il 22 i terroristi hanno strappato il Sindoor alle nostre donne dopo aver chiesto la loro religione… dopo questo, ogni cittadino dell’India ha giurato che il terrorismo sarà schiacciato, daremo loro punizioni inimmaginabili…. il nostro governo ha concesso all’esercito indiano la piena libertà”. Modi ha poi aggiunto: “Saathiyon (amici), non ci saranno scambi o negoziazioni con il Pakistan, se ci saranno negoziazioni, riguarderanno solo la consegna del Kashmir a noi”.

Come zombie, la folla ha intonato ancora una volta “Modi Modi”.

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