Venerdì 19 novembre avete deciso di ribellarvi facendo un presidio all’interporto di Bologna. Lunedì avete scioperato proprio nello stesso luogo dove un mese fa perse la vita Yaya Yafa. Come mai avete deciso di fare questi scioperi? Cosa pensano i vostri colleghi che magari hanno contratti a tempo indeterminato? Ce ne sono? Vi hanno dato solidarietà?
Tutto è iniziato perché [i datori di lavoro] pagano malissimo: lavori quasi 8 ore e ti pagano 800 euro, mentre altri ne prendono 1700, pur avendo gli stessi orari di entrata e gli stessi orari di uscita. perciò abbiamo iniziato a lamentarci. Un’altra ragione è perché i contratti sono molto brevi. Vogliamo contratti più lunghi, contratti normali come tutti, e condizioni di lavoro migliori. Vedi anche la pressione che ti mettono. Ti mettono continuamente pressione per lavorare più velocemente. È davvero faticoso, non siamo macchine: siamo essere umani, respiriamo aria, non beviamo benzina. Anche i colleghi che hanno dei contratti normali ci hanno sostenuto. Anzi, ci hanno detto che avremmo dovuto fare prima questa manifestazione. Più di tutto vogliamo dei contratti lunghi, perché se non hai un contratto lungo non puoi rinnovare il permesso di soggiorno: se cerchi lavoro ti chiedono prima i documenti, e i documenti li puoi avere quando hai un contratto normale. Se hai un contratto normale e vai in questura per cambiare i documenti, ti chiedono: residenza, contratto, busta paga, ecc. Perciò, se non hai un contratto normale, non puoi rinnovare i documenti. Con un contratto di una settimana è impossibile che lo stato rinnovi il permesso di soggiorno.
Quanti lavoratori migranti lavorano, per SDA al momento? Ci sono state risposte alle vostre richieste da parte di SDA o delle agenzie interinali e se si quali?
Per ciò che riguarda il numero di migranti che lavorano lì, non lo possiamo sapere perché alcuni lavorano la notte, alcuni la sera, pochi la mattina. L’unica cosa che so è che siamo tantissimi a lavorare lì. Per ciò che riguarda la risposta dell’agenzia o la decisione dei capi, non siamo per il momento soddisfatti. Anche se non possiamo avere una risposta positiva il giorno stesso, comunque non siamo soddisfatti per il momento.
Come avete trovato questo lavoro?
Il lavoro lo troviamo tramite degli amici, un amico che lavora lì. Io gli dico che sto cercando un lavoro, lui mi passa il numero dell’agenzia e mi dice di chiamarla. Così, dopo un po’, quando ha bisogno, l’agenzia ti chiama per chiederti se sei disponibile, dici sì e poi l’agenzia ti richiama. Poi ti fa fare una prova di uno, due o tre giorni, senza contratto. Tre giorni di prova senza contratto, per alcuni anche una settimana senza contratto.
Intervista a Lorenzo del Coordinamento Migranti di Bologna:
In che modo il Coordinamento migranti ha supportato l’organizzazione dello sciopero, che ricordiamo essere avvenuto in maniera autonoma in assenza di sindacati? Proprio su questo aspetto volevo chiederti poi se questa cosa è stata fatta per scelta o per un’assenza dei sindacati in quel polo logistico.
La cosa è iniziata appunto da alcuni di questi lavoratori che sono tutti richiedenti asilo che lavorano come interinali nel magazzino della SDA, all’interporto di Bologna. Tra quelli che hanno iniziato la protesta, in verità ci sono alcuni dei compagni che fanno parte del Coordinamento Migranti, che hanno partecipato alle proteste e hanno chiesto sostegno e un appoggio organizzativo. Dietro a questa cosa non ci sono sindacati perché nessuno, in questo momento, ha la capacità di rappresentare dei lavoratori con questo grado di precarietà e di ricatto. Parliamo di lavoratori che spesso hanno contratti di tre giorni, una settimana, e che sono continuamente tenuti sotto una doppia minaccia: quella di non essere più chiamati, quindi di perdere il lavoro, e quella di non poter rinnovare il permesso di soggiorno, come diceva il compagno intervistato poco fa. In quel magazzino c’è certamente la presenza del sindacato e in particolare dei compagni del SiCobas. È chiaro, però che c’è un problema, nel senso che questa lotta segna anche una trasformazione che sta avvenendo in alcuni magazzini della logistica, una trasformazione della composizione della forza lavoro che viene utilizzata. Il fatto che un magazzino come quello della SDA di Bologna utilizzi così tanto lavoro interinale è sicuramente anche una strategia antisindacale, cioè esistono costantemente tentativi da parte padronale di produrre gerarchie e di costruire differenze all’interno del lavoro migrante. E questa cosa è molto chiara a quelli che hanno organizzato questa protesta.
Infatti, un dato che possiamo trarre dall’intervista al lavoratore di SDA è che lui alla domanda su quante persone migranti lavoravano nel suo stabilimento non sa dare una risposta, dice: “Noi ogni tanto andiamo al mattino, ogni tanto la sera, e non ci incontriamo tra di noi, c’è sempre questo ostacolo alla possibilità di mettere in campo una lotta”.
Sì, per la maggior parte di questi lavoratori il rapporto col lavoro è un messaggino su WhatsApp con scritto 19:45 o un altro orario, che è l’ora in cui devono presentarsi, poi qualcuno gli dice in quale buca devono andare a lavorare e questo è tutto. Noi sappiamo che nei magazzini di SDA di Bologna lavorano complessivamente un migliaio di persone e che nei periodi di lavoro particolarmente intenso – come questo, perché è la settimana del Black Friday e poi viene il periodo di Natale – per ognuna delle 182 buche dei magazzini SDA di Bologna , ci sono tre o quattro di questi lavoratori interinali. È un lavoro che si svolge soprattutto di notte.
Come dicevamo, il fatto di lavorare a spot per pochi giorni non fa abituare alle pratiche di lavoro, non insegna anche le “furbizie” che si possono acquisire sul posto di lavoro a furia di farlo, come qualsiasi altra mansione anche extralavorativa. E ci sono appunto delle gravi conseguenze come è stata la morte di Yaya Yafa proprio perché il personale non è formato, ma viene buttato in mezzo alle produzioni. Riguardo a ciò volevo chiederti quali sono un po’ i nomi, diciamo responsabili di questo fantastico servizio. Ci sono agenzie interinali che eseguono questo servizio? Abbiamo letto della mobilitazione di lunedì, quando siete riusciti a incontrare una responsabile di un consorzio. Com’è strutturato il livello gerarchico, la situazione dei vari player, delle varie aziende che gestiscono il lavoro là dentro.
La struttura è a scatole cinesi. C’è SDA che si appoggia a un consorzio che si chiama Metra ed è questo consorzio che contatta le agenzie interinali direttamente per reclutare i lavoratori. È vero quello che diceva il compagno prima di me che molto spesso si arriva al magazzino tramite un passaparola personale. Quello che sappiamo però è anche che le agenzie entrano direttamente nei centri di accoglienza sparsi sul territorio dell’Emilia-Romagna, dove fanno un vero e proprio reclutamento. Per fare un esempio, in questi giorni, da quando venerdì sera è iniziato lo sciopero e molti dei ragazzi hanno detto di no e hanno rifiutato la chiamata, subito la cooperativa e le agenzie si sono mosse per chiamare altri ragazzi – sempre ovviamente migranti richiedenti asilo – andandoli a cercare in giro. E questo è molto importante anche rispetto al discorso di prima sul sindacato e sull’organizzazione delle lotte, perché c’è una stretta connessione tra quella che chiamiamo la gabbia dell’accoglienza e l’organizzazione del lavoro migrante all’interno della logistica. Per esempio, noi negli ultimi mesi abbiamo fatto molte lotte all’interno del Centro Mattei di Bologna, un hub che ospita centinaia di migranti, un vero e proprio dormitorio per lo svolgimento del lavoro della logistica.
Mi viene da fare un parallelismo con quanto è successo qui a Torino in settimana. Abbiamo assistito alla prima causa civile del processo di alcuni Riders di Uber Eats, appunto nei confronti di quello che hai detto essere un “intermediario”, anche se in quel caso si trattava di un’azienda individuale. Anche lì abbiamo sentito la stessa la stessa solfa. Nel senso che vanno proprio a reclutare nei centri accoglienza, quindi è proprio una pratica ormai consolidata quella di cercare lavoratori sempre più ricattabili, quando non si sa bene dove trovarli. E questo è veramente vomitevole. Se vogliamo fare una piccola parentesi ottimista, i lavoratori Uber Eats hanno vinto questa causa, nel senso che il giudice ha riconosciuto la subordinazione. Ovviamente sono lotte completamente diverse, però comunque anche in quel caso si erano autorganizzati nella stessa identica situazione, quindi, da un certo punto di vista. è un buon segnale che nonostante provino sempre a giocare sulla pelle dei più ricattabili, loro non ci stanno.
È chiaro che questa è una forza lavoro assolutamente ricattabile. Però io rimango sempre assolutamente colpito di quanto i migranti partendo da quella condizione siano capaci di alzare la testa, creando delle lotte emettendo in gioco completamente la loro esistenza, la loro vita e la permanenza in Europa. Molti dei ragazzi che hanno iniziato a dire di no in questi giorni, a scioperare appunto, dormono nei dormitori dell’accoglienza, e quel lavoro del cazzo al magazzino è tanto un’immediata fonte di reddito quanto una speranza di poter raggiungere un quantitativo di ore sufficienti per avere un permesso di soggiorno per restare in Italia. Questa lotta l’hanno iniziata con grande coraggio perché per loro può significare tantissime cose, per questo quello che sta accadendo adesso a Bologna, è veramente una cosa notevole.
Per chiudere, come siete rimasti con Michela Crocco, coordinatrice del Consorzio Metra. Pare, come ha detto anche il lavoratore prima, che l’incontro non sia stato particolarmente soddisfacente. Ma è stata forse fissata un’ulteriore data?
La prima rivendicazione portata avanti dai migranti ha riguardato il fatto che tutte le ore di lavoro che facciamo devono essere pagate, perché qui c’è costantemente una differenza tra le ore effettivamente lavorate e le buste paga. L’unica concessione che ci è stata data è quella che faranno un controllo incrociato. Per il resto, l’atteggiamento dell’azienda è stato intanto di non riconoscere politicamente i migranti e di rispondere soltanto come se loro fossero semplicemente individui, senza riconoscere l’esistenza di un’organizzazione autonoma. In secondo luogo, anche di minaccia. Nel senso che quando è iniziata la cosa c’è stata una situazione un po’ agitata in cui non è successo fondamentalmente niente, a parte un blocco di un corridoio per pochi minuti. E ora vogliono lasciare a casa e licenziare – cioè non chiamare più – sette dei migranti che hanno iniziato questa cosa. Ed è stato tirato fuori che, in quell’occasione, avrebbero spaccato un monopattino. Qualcosa di assolutamente ridicolo se parliamo di un magazzino in cui i migranti vengono costantemente esposti al rischio: parliamo di un magazzino in cui venti giorni fa è morto un ragazzo spappolato, nessuno dei capi ha perso il lavoro per quello, e adesso per un monopattino c’è qualcuno che dovrebbe rimanere a casa? Quindi sì, è insoddisfacente il dialogo che c’è stato fino ad ora. Lunedì prossimo avremo un altro incontro con Michela Crocco, quando loro avranno fatto una serie di verifiche sulle buste paga. Nel frattempo, vedremo come muoverci.