mercoledì , 6 Novembre 2024

Contro il fondamentalismo, la violenza patriarcale e l’oppressione: libertà di movimento per tutte e tutti. Statement sulla situazione in Afghanistan

di E.A.S.T. (Essential Autonomous Struggles Transnational)

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Tanto la guerra in Afghanistan quanto la supposta fine della guerra si giocano sulla vita delle donne. Prima, abbiamo assistito all’ipocrita grido di protesta a favore dei diritti delle donne, a cui è seguita una spietata guerra durata vent’anni che ha colpito in misura maggiore proprio le donne. Negli ultimi due decenni, dietro la facciata della difesa dei valori occidentali, la guerra non ha fatto che espandere l’industria militare. A guerra finita, si assiste oggi all’instaurazione di un regime sotto la legge della sharia, che vuole le donne oppresse, sfruttate, costrette a matrimoni forzati, violentate, obbligate ad avere figli e persino uccise. Allo stesso tempo, per il solo fatto di esistere, le persone LGBTQI+ vivono sotto il costante rischio di essere attaccate.

La guerra in Afghanistan può dirsi finita solo da un punto di vista strettamente militare. La guerra contro le donne, le persone LGBTQI+ e tutti coloro che rifiutano il dominio teocratico e patriarcale dei talebani continua a tutta forza. Quando i talebani dicono che «rispetteranno i diritti delle donne in conformità con la legge islamica», vogliono presentarsi in realtà come negoziatori credibili davanti ad altri Stati e potenziali investitori, pronti a chiudere gli occhi sul fatto che l’unica libertà che avranno le donne sarà la «libertà» di accettare la violenza e la subordinazione. Di fronte a ciò, le donne afghane hanno già espresso il proprio rifiuto verso il regime talebano e ciò che comporta, e in segno di protesta sono scese in strada a Kabul. Tra coloro che non accettano di sottomettersi al comando dei talebani, molti stanno cercando di fuggire dal paese e continueranno a farlo, anche a costo della propria vita, come dimostra il recente attentato all’aeroporto di Kabul.

Per noi, l’unica risposta possibile a questa crisi provocata dall’Occidente è la libertà incondizionata di movimento contro la violenza patriarcale, il fondamentalismo e l’oppressione.

Se da una parte l’Unione Europea si presenta come il baluardo della civiltà occidentale, dall’altra litiga al proprio interno sui criteri di ammissione dei rifugiati afghani, e sta per erogare enormi finanziamenti a paesi come Pakistan e Iran affinché trattengano i rifugiati, non importa a quali condizioni. Molti paesi europei che hanno preso parte agli interventi militari in Afghanistan – compresi alcuni paesi dell’Europa orientale e centrale – si rifiutano ora di assumersi la responsabilità di queste azioni disastrose e delle loro conseguenze. I più «illuminati» tra i funzionari di Bruxelles discutono invece di corridoi umanitari per un numero limitato di afghani, di fatto assegnando all’UE il ruolo di decidere chi lasciar morire e chi salvare.

In più, l’UE cerca di contrattare ulteriormente con il dittatore Erdogan – il quale negli ultimi mesi ha apertamente legittimato la violenza patriarcale contro le donne ritirandosi dalla Convenzione di Istanbul, e si è reso responsabile della guerra in Rojava e del genocidio degli Yazidi – così che possa continuare a essere il cane da guardia dei confini dell’Unione. La Grecia sta invece costruendo un muro di 40 km per impedire agli afghani di entrare nel paese, mentre la Bulgaria già nel 2014 ha costruito una recinzione al confine con la Turchia, per mantenere il confine esterno dell’UE «al sicuro» da persone in fuga dalla guerra e dal terrore.

Tutto ciò dimostra che l’Unione Europea non solo chiude gli occhi davanti alla guerra di Erdogan contro le donne e le persone LGBTQI+, ma si rende a sua volta complice degli stupri e delle violenze quotidiane che hanno luogo sulla rotta dei migranti per raggiungere l’Europa, così come nei numerosi campi profughi finanziati dalle istituzioni europee.

All’interno dei confini, i regolamenti europei e nazionali vincolano migliaia di donne migranti a partner violenti e abusatori tramite il ricatto del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. Queste sono le stesse donne che, con il loro lavoro essenziale, consentono la vita stessa dell’Europa, soprattutto in tempi di pandemia.

Come E.A.S.T. sappiamo che la lotta per la libertà di movimento e contro il patriarcato non è una questione afghana, bensì un campo di battaglia comune a tutte e tutti coloro che lottano contro questi sistemi oppressivi. Sappiamo che, da Est a Ovest, da Nord a Sud, i governi hanno tentato – con la scusa della pandemia – di rimettere le donne al proprio posto, ovvero nelle gerarchie sociali che le donne stesse stanno mettendo in discussione. Sappiamo che, se tutti i migranti sono essenziali per la sopravvivenza della società, la loro «ricompensa» è il razzismo istituzionale e lo sfruttamento.

Di fronte al disastroso ritiro degli eserciti NATO dall’Afghanistan, e di fronte alla presa di Kabul e della maggior parte del paese da parte dei talebani, siamo dalla parte di tutte e tutti coloro che lotteranno in Afghanistan per la loro libertà dalla violenza e dal patriarcato, e a fianco di coloro che cercheranno riparo altrove. La loro lotta fa parte del nostro sciopero quotidiano contro i confini e della nostra lotta transnazionale per la libertà di movimento e contro il patriarcato e lo sfruttamento.

Di fronte alle politiche mortifere e al regime dei confini dell’Unione Europea e dei suoi Stati, rivendichiamo una libertà di movimento incondizionata: qualsiasi soluzione intermedia sarà solo un altro modo per sostenere la violenza, il patriarcato e lo sfruttamento del lavoro migrante.

È tempo di organizzare una risposta transnazionale alla guerra contro le donne, le persone LGBTQI+ e i migranti! È tempo di aprire le frontiere e garantire il diritto d’asilo e la libertà dall’oppressione e dallo sfruttamento per tutte e tutti coloro che vogliono entrare in Europa!

 

 

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