di CLIMATE CLASS CONFLICT – ITALY
Gli effetti globali della guerra in Ucraina e i processi transnazionali che essa ha messo in moto stanno cambiando radicalmente l’ambiente in cui viviamo. La corsa alle materie prime strategiche, l’inflazione, l’esplosione dei prezzi delle bollette, la crisi sanitaria, la moltiplicazione di eventi naturali catastrofici, l’intensificazione della violenza razzista e patriarcale sono gli ingredienti della crisi che ci attraversa, che ci riguarda tutti e tutte e che produce ambienti di vita e di lotta molto diversi. Viviamo e lottiamo nella Terza Guerra Mondiale e il nostro ecologismo deve farci i conti. A settembre a Sofia, durante il meeting organizzato dalla Piattaforma per lo Sciopero Sociale Transnazionale, abbiamo discusso con collettivi ecologisti da molti paesi europei e non solo con l’ambizione di trovare parole e pratiche condivise per portare avanti il nostro Climate Class Conflict dentro e contro la transizione verde. Se vogliamo espandere e approfondire la nostra capacità di lotta per una giustizia climatica dobbiamo superare le divisioni nazionali approfondite dalla competizione bellica, e opporci collettivamente al binomio di sfruttamento e inquinamento che caratterizza le politiche attuali. Per dare seguito alle indicazioni emerse da questo incontro nei contesti in cui militiamo, compreso quello bolognese, abbiamo dato vita al collettivo Climate Class Conflict – Italy (CCC-IT).
Il 22 ottobre convergeremo perché pensiamo che la lotta per la giustizia climatica debba essere una lotta sociale, capace di mutare radicalmente l’ambiente complessivo in cui viviamo e lottiamo; capace di affrontare il nesso tra condizioni di vita, produzione e riproduzione di donne, migranti, persone lgbtqi+, precari e lavoratori e lavoratrici. Il 22 ottobre per noi deve essere l’occasione per affermare che lottare per la giustizia climatica significa lottare per un ambiente in cui i salari e le condizioni di vita e di lavoro non sottostanno a ricatti inquinanti, razzisti, capitalisti o patriarcali. Non siamo tutti uguali di fronte alla transizione e per questo la dimensione globale che il movimento ecologista ha assunto in questi anni è irrinunciabile e deve attivarsi in ogni convergenza territoriale. Per noi questo è necessario anche nelle mobilitazioni contro il Passante di mezzo a Bologna. L’allargamento del Passante è un progetto logistico-infrastrutturale che contestiamo, perché promette di peggiorare la qualità dell’aria che respiriamo, colpendo soprattutto le aree della città in cui vivono le persone con i redditi più bassi. Per opporsi al Passante, però, non basta invocare la difesa del territorio. Mentre non promette un futuro più verde, ma fatto della solita gradazione di grigio e nero, l’allargamento del Passante nasconde il vero volto degli investimenti nella logistica, e cioè anche l’intensificazione dello sfruttamento del lavoro, soprattutto migrante, nella grande fabbrica dell’interporto di Bologna. Questa città è il crocevia di ben tre dei nove corridoi logistici europei, i cosiddetti TEN-T, considerati di rilevanza strategica per la transizione verde e che negli ultimi anni hanno ricevuto investimenti colossali da parte dell’Unione Europea. Il Passante di mezzo, ribattezzato “opera simbolo della transizione energetica”, è un pezzo delle trasformazioni dei trasporti funzionali a un mercato europeo che si vuole pronto a rispondere alle ristrutturazioni nelle catene globali del valore, messe in crisi dalle lotte di lavoratrici e lavoratori nella logistica e dalla guerra.
Approfondire un’iniziativa ecologista capace di collocarsi all’altezza delle dinamiche transnazionali che sostengono questa grande opera, collegando qui e ora i diversi soggetti che lottano per non pagarne i costi, è l’opportunità aperta dalla convergenza del 22 ottobre. Insorgiamo per cambiare il clima di convergenza di razzismo, sfruttamento, patriarcato e devastazione ambientale; convergiamo per imporre un diverso clima delle nostre lotte a venire.