sabato , 27 Luglio 2024

La ribellione contro l’algoritmo di Amazon, note sull’agitazione dei drivers a Pisa

di INFOAUT

Ripubblichiamo da Infoaut il testo dei drivers che la settimana scorsa hanno scioperato contro Amazon a Pisa. Da mesi Amazon, approfittando della pandemia, sta realizzando in tutta Italia e in tutto il mondo un aumento dei ritmi, degli orari e dei carichi di lavoro per i corrieri, continuando a far crescere il numero di consegne giornaliere richieste dall’algoritmo della app Amazon Flex e a ridurre il personale con la cassa integrazione, aggirando il blocco dei licenziamenti. Ritmi di lavoro crescenti che stanno causando un aumento del numero di incidenti e dei rischi per la sicurezza di lavoratori e lavoratrici, che si ritrovano a dover fare 170 consegne in un turno di lavoro. Cioè una consegna ogni 2 minuti e 40 secondi per 8 ore di fila. Contro tutto questo, la settimana scorsa i drivers di due aziende in appalto della delivery station di Pisa hanno scioperato per quattro giorni, bloccando le consegne, per rifiutare collettivamente le condizioni di lavoro imposte da Amazon. Come loro la scorsa settimana hanno scioperato i drivers Amazon di Brandizzo (Torino) e di Fubine (Alessandria), e come loro i drivers in Europa e negli Stati Uniti si stanno organizzando per connettere le proprie lotte a livello transnazionale. Siamo dalla loro parte perché lo sciopero è la nostra risposta contro lo sfruttamento: strike the giant!

Antefatti

A novembre, durante il Black Friday, è stata inaugurata la nuova Amazon Delivery Station a Montacchiello (Pisa), le ditte appaltatrici per le consegne sono quattro.
Nel picco di consegne autunnale hanno lavorato circa quattrocento corrieri, nel gergo tecnico drivers. Nel mese di dicembre a circa 150 corrieri non sono stati rinnovati i contratti. Attualmente in questo enorme magazzino lavorano circa 250 drivers. Finisce il 2020 con meno corrieri e tantissime consegne. Inizia il 2021 e le consegne non diminuiscono, anzi. Amazon decide di distribuire in modo diverso il lavoro, dividendolo però sullo stesso numero di drivers. Un esempio: tre drivers con 100 consegne a testa, in tutto 300 consegne. Dal 1 gennaio 2021 vengono date 150 consegne a un driver, 150 a un* altr* e il terzo non c’è più, non gli/le hanno rinnovato il contratto. Quindi le consegne vengono accorpate sui drivers rimanenti, dalle 150 alle 170 consegne a testa. Questo comporta dei carichi di lavoro pesantissimi e delle conseguenze diversificate: carichi di stress, lavoro sotto pressione – i responsabili incitano al “fare presto, fare di più”, incidenti, multe, dagli autovelox ai parcheggi. Per Amazon il driver deve parcheggiare in modo smart, peccato che questo nella realtà corrisponda a multe per divieto di sosta, per sosta in parcheggi blu senza aver pagato o messo il disco orario – l’azienda non lo fornisce, per sosta sui marciapiedi. Tutte azioni che comportano multe per chi lavora e stress urbano per chi vive in città.

Drivers…

Negli ultimi mesi è iniziata l’insubordinazione di chi lavora…ma a ben guardare le radici sono più profonde.

Chi sono questi drivers?

Sono persone consumate dai ritmi del cosiddetto “lavoro di piattaforma”. Ragazzi e ragazze giovani che però fanno i corrieri da diversi anni. Amazon è a Pisa da circa 4 anni ma tanti hanno lavorato anche per il corrierato classico, per esempio BRT, SDA, TNT. La loro è una vita qualunque, prima della pandemia frequentavano le discoteche, le piazze, studenti o ex studenti universitari, mamme giovani, coppie con figli, tifosi del calcio, persone che hanno voluto conquistarsi un’autonomia economica dalla famiglia.

Come hanno fatto a consumarsi così presto?

E’ colpa di questo lavoro che costringe a rincorrere algoritmi, software, dispositivi tecnologici, cercare i pacchi sul furgone, pianificare la loro disposizione, pensare alle possibili strade o percorsi. Correre, correre sempre. E’ un lavoro che impegna la mente quando sei alla guida del furgone ma anche quando sei a casa, quando sei a letto e cerchi di prendere sonno, quando ti squilla il telefono per le costanti ed assidue comunicazioni da parte dei responsabili: turni da seguire, targhe dei furgoni da imparare, strade da conoscere. Il blocco e la rabbia di questi scioperi affonda le radici in anni di umiliazioni, sofferenze, solitudine.

Inizia lo sciopero

Circa dieci giorni fa una delle ditte appaltatrici, Trasline, comunica ai suoi drivers, tre giorni prima dell’emissione degli stipendi, che sono stati messi in cassa integrazione retroattiva. Questo significa che la busta paga di febbraio, in cui si riscuote gennaio, sarà più bassa (la cassa integrazione viene pagata all’80%). Inoltre in busta paga mancano altri soldi: un integrativo regionale di circa 57€, la franchigia (il risarcimento se il furgone viene danneggiato; non dovrebbe superare i 250€ ma questa azienda chiede 500€).
Queste sono le motivazioni per cui lo sciopero è durato quasi una settimana. Sabato 27 si sono aggiunt* allo sciopero anche i/le drivers di un’altra ditta appaltatrice, Loed. Lo sciopero è iniziato da pochi giorni ma la tensione e la rabbia nel magazzino ci sono da molti mesi. Si esprimevano in sfoghi, lamentele nelle chat o nei parcheggi dopo il turno. Era sempre rabbia individuale, e quando un* singol* risponde a tono al suo responsabile riceve sicuramente una lettera disciplinare. Quando, insieme e organizzandosi, si inizia uno sciopero cambia la sinfonia. Ci si rende conto che il proprio problema, quello di fare fatica, di non riuscire a finire la rotta (la zona di consegna assegnata) non è solo il tuo ma è il problema di tutt*. Viene socializzata una condizione: invertire la rotta, ed è proprio una mentalità a cambiare. Nello sciopero e nel blocco spontaneo dei cancelli i driver disgregati tra di loro fino a quel momento, assumono la consapevolezza di avere una forza collettiva: “finchè non saremo ascoltati da qui non esce nemmeno un pacco! Siamo dalla parte della ragione!”

Trattative

Le trattative tra i sindacati confederali e l’associazione che tutela gli interessi dei servizi Amazon, Assoespressi, sono in corso da mesi. Questo perché Amazon tenta, e in molti casi già riesce, ad andare in deroga ad alcuni punti del Contratto Collettivo Nazionale Lavoro (CCNL) Logistica e Trasporti, cui afferiscono i drivers. I punti principali della contrattazione in atto da mesi sono: Non accettazione dell’articolo 42 CCNL che prevede l’obbligo, per Committenti e appaltatori subentranti, di integrare tutt* i/le lavorat* alle stesse condizioni contrattuali, con il mantenimento dell’anzianità pregressa, con uguale salario e diritti normativi. Aumento della flessibilità cioè di lavorat* a tempo determinato e flessibile, assunti tramite agenzia interinale. Questa soglia già non è rispettata sul totale della forza lavoro. Aziende smart 2.0: l’inserimento di queste aziende rappresenta un’altra deroga al CCNL. Sono ditte fornitrici dove tutto è a noleggio e che fanno bandiera della soppressione e umiliazione dei diritti di chi lavora. Il loro nome è staff leasing – lavoro in affitto.

Questa contrattazione non è prerogativa di Pisa ma si sta svolgendo in tantissime altre città d’Italia: è in gioco la modifica del CCNL, con netti peggioramenti. Oltre ai punti sopra elencati c’è in ballo la riduzione del trattamento economico per malattia, l’ampliamento della stagionalità e del lavoro a chiamata, modifica del regolamento relativo al diritto di sciopero.

In questi giorni di sciopero la trattativa con Assoespressi, la Confindustria delle ditte in appalto dell’e-commerce, ha riguardato anche la diminuzione dei ritmi di lavoro. Nell’incontro svoltosi l’1 marzo Amazon e Assoespressi hanno ignorato ogni richiesta de* lavorat*. I sindacati confederali, abituati a contrattare unicamente per gestire a ribasso le condizioni de* lavorat*, rimbalzano sul muro di Amazon che non intende cedere un millimetro dello sfruttamento che impone a chi lavora. La multinazionale intende peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro, e quindi aumentare la sofferenza di decine di migliaia di persone, e non è disposta ad accettare nessuna rivendicazione de* lavorat*: la più grande paura di Amazon è costruire un precedente. Crearlo è l’obiettivo di chi lavora in condizioni disumane, lottando anche contro i sindacati gestori dell’ordine aziendale.

… e Amazon

“Amazon ti resetta il cervello, ti induce a lavorare infrangendo ogni limite fisico, delle capacità umane. Ti fa sostenere velocità e ritmi disumani, che non avresti mai nella vita. Ti inducono a lavorare così: infrangendo i limiti, della strada e del corpo, e le stesse procedure che dà. Amazon ci dice: devi aspettare il cliente e che il pacco sia nelle sue mani. Ma non puoi aspettare il cliente perché altrimenti non finirai mai il giro delle consegne, la rotta.” Nello sciopero sta accadendo un cambio di mentalità de* drivers. Una liberazione dalla schiavitù dell’algoritmo e dell’intelligenza artificiale. Uno degli slogan dello sciopero è “Noi non siamo un algoritmo, noi non siamo dei robot”.

Tant* lavorat* hanno scioperato nonostante i contratti a scadenza, e nonostante quello stipendio sia l’unica fonte di reddito per sé o per la propria famiglia. La forza di questi scioperi è il sorgere di una mentalità nuova, che sfida il ricatto economico e psicologico della multinazionale del sorriso forzato. La volontà e il bisogno di dare un esempio, di creare una comunicazione con le altre migliaia di drivers. C’è la consapevolezza delle possibili ripercussioni ma la forza di voler iniziare a liberarsi è più forte, e lo è anche perché rivolta a tutte le altre persone che lavorano soffrendo negli altri magazzini.
L’aspirazione de* scoperant* non è solo quella di comunicare l’apertura di una trattativa con Amazon per abbassare il numero delle consegne. E’ quella di iniziare a guardarsi negli occhi, contarsi, dire “io sciopero” e potersi fidare l’una dell’altro. Iniziamo noi, le altre persone lo faranno poi.

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