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Intermittenti oltre la linea del colore

fugadi GIORGIO GRAPPI

da «il Manifesto», 6 febbraio 2014

Il volume col­let­ta­neo Navi­gando a vista, Migranti nella crisi eco­no­mica tra lavoro e disoc­cu­pa­zione, curato da Devi Sac­chetto e Fran­ce­sca Alice Via­nello (Franco Angeli), apre una salu­tare brec­cia nella nar­ra­zione della crisi, mostran­done frat­ture, dif­fe­renze e spe­ci­fi­cità, in un momento nel quale pare dif­fon­dersi un’immagine indif­fe­ren­ziata dei sog­getti che ne sono col­piti. La ricerca si basa su un ampio appa­rato sta­ti­stico e un lavoro sul campo che ha por­tato gli autori dei saggi inclusi a svol­gere 170 inter­vi­ste in pro­fon­dità e oltre quat­tro­cento inter­vi­ste tele­fo­ni­che tra i disoc­cu­pati e le disoc­cu­pate di ori­gine maroc­china e rumena iscritti ai cen­tri per l’impiego di due comuni veneti, Cam­po­sam­piero (Pd) e Mon­te­bel­luna (Tv). Pur dedi­cando un’attenzione spe­ci­fica al con­te­sto d’indagine nella regione Veneto (Bruno Ana­sta­sia, Mau­ri­zio Gam­buzza e Mau­ri­zio Rasera), i risul­tati della ricerca sono pre­sen­tati tenendo ben pre­sente la dimen­sione glo­bale e trans­na­zio­nale che inve­ste il mondo del lavoro. Una par­ti­co­lare atten­zione è stata dun­que dedi­cata alla rico­stru­zione delle espe­rienze lavo­ra­tive pre­ce­denti alla migra­zione (Vanessa Azze­ruoli), allo sce­na­rio macroe­co­no­mico, alle diverse espe­rienze sog­get­tive e fami­gliari e alle diverse «occu­pa­zioni» dei disoc­cu­pati. Que­sto sguardo aperto ha con­sen­tito agli autori di segna­lare alcune dina­mi­che la cui vali­dità va cer­ta­mente oltre i ter­ri­tori presi in considerazione.

I lavo­ra­tori migranti si devono con­fron­tare con una discri­mi­na­zione mate­riale che li spinge a occu­pare set­tori e qua­li­fi­che con salari più bassi e con­di­zioni con­crete di lavoro peg­giori. Una situa­zione ancora peg­giore per le donne migranti, la cui pre­senza in seg­menti occu­pa­zio­nali scar­sa­mente qua­li­fi­cati è di ben nove volte supe­riore a quella delle ita­liane (dati Istat 2013). Con­tra­ria­mente all’idea dif­fusa che vi sia un nesso diretto tra rego­la­rità e occu­pa­zione, inol­tre, le espe­rienze dei migranti ana­liz­zate nel testo rive­lano che l’irregolarità è una con­di­zione spesso attra­ver­sata dai lavo­ra­tori e dalle lavo­ra­trici migranti, che non li esclude dal mer­cato del lavoro, ma li rende occu­pa­bili a deter­mi­nate con­di­zioni. Que­ste con­si­de­ra­zioni, da sole, dovreb­bero met­tere al riparo dalla ten­ta­zione di con­si­de­rare supe­rata la sepa­ra­zione tra migranti e ita­liani. Al tempo stesso, dalla par­ti­co­lare ango­la­tura del lavoro migrante emerge un qua­dro stra­ti­fi­cato del mondo del lavoro dal quale è pos­si­bile trarre alcune indi­ca­zioni di carat­tere generale.

Dispo­ni­bili a tutto

La con­di­zione vis­suta dai lavo­ra­tori migranti mostra, infatti, una «diva­ri­ca­zione» tra le forme di lavoro irre­go­lare e l’istituzionalizzazione del mer­cato del lavoro. Più che una frat­tura bina­ria, tut­ta­via, ciò che si pro­fila è una gene­rale fram­men­ta­zione di con­di­zioni che ha il suo cor­ri­spet­tivo for­male in una gene­rale «mol­ti­pli­ca­zione con­trat­tuale e nor­ma­tiva». L’abbassamento com­ples­sivo dei salari e delle capa­cità di con­trat­ta­zione col­let­tiva si tra­duce nell’allargamento sem­pre mag­giore della fascia dei wor­king poor, nella quale i migranti hanno una pos­si­bi­lità mag­giore di rica­dere. A ciò si accom­pa­gna una scon­nes­sione tra l’erogazione di lavoro e l’acquisizione di diritti che si esprime anche nella ridu­zione dei ser­vizi di wel­fare. I lavo­ra­tori migranti presi in con­si­de­ra­zione costi­tui­scono dun­que un cam­pione spe­ci­fico e tut­ta­via rap­pre­sen­ta­tivo di una con­di­zione ormai dif­fusa, quella di lavo­ra­tori pre­cari e poveri che, nella crisi, sono costretti a «navi­gare a vista», abbas­sando le loro aspet­ta­tive e ren­den­dosi dispo­ni­bili a svol­gere man­sioni scar­sa­mente qua­li­fi­cate e da pren­dere al volo, senza essere troppo choosy e senza neces­sa­ria­mente rien­trare dalla disoc­cu­pa­zione. Essere sta­ti­sti­ca­mente disoc­cu­pati, come mostra il con­tri­buto di Gra­ziano Merotto, non equi­vale infatti al non avere occu­pa­zioni, ma s’inserisce all’interno di que­sta gene­rale tra­sfor­ma­zione. Le forme isti­tu­zio­na­liz­zate per la ricerca del lavoro, come i cen­tri dell’impiego, fini­scono invece per rive­lare la cen­tra­lità ormai assunta dalle agen­zie inte­ri­nali verso un’occupazione gene­rica, scar­sa­mente qua­li­fi­cata e, soprat­tutto, di breve durata (Devi Sacchetto).

L’arte del mosaico

In que­sto qua­dro gene­rale, uno dei nodi più inte­res­santi sui quali il volume for­ni­sce utili ele­menti di rifles­sione è quello del rap­porto tra mobi­lità e crisi. Nell’introduzione si afferma ad esem­pio come la cir­co­la­rità delle migra­zioni, che tanto spa­zio occupa nelle poli­ti­che dell’Ue e delle agen­zie inter­na­zio­nali, paia ral­len­tata dalla crisi.

Il volume, gra­zie all’attenzione riser­vata alle stra­te­gie di vita messe in campo dai migranti e alle loro moti­va­zioni, mette in luce almeno due ten­denze in appa­rente con­tra­sto tra loro: da un lato, la crisi che si abbatte con par­ti­co­lare forza sui migranti agi­sce come fat­tore di sospen­sione della mobi­lità, creando una zona di attesa fun­zio­nale alla ricol­lo­ca­zione di que­sti lavo­ra­tori in man­sioni ancora meno qua­li­fi­cate, o al loro ingresso in una cre­scente eco­no­mia infor­male (Marco Semen­zin). Dall’altro lato, que­ste stesse ten­denze indi­cano anche la forza delle stra­te­gie sog­get­tive messe in campo dai migranti per restare là dove hanno scelto di costruirsi una vita dif­fe­rente rispetto alla fase pre­ce­dente la migra­zione o a pre­ce­denti espe­rienze migratorie.

I migranti inter­vi­stati met­tono in campo una vera e pro­pria «arte del mosaico» i cui tas­selli sono pezzi di wel­fare che dipen­dono sia dall’accesso a ser­vizi for­mali, sem­pre più limi­tati, sia dalla capa­cità di mobi­li­tare reti di soli­da­rietà come la fami­glia allar­gata, le asso­cia­zioni inter­me­die e i cir­cuiti ami­cali (Fran­ce­sca Alice Via­nello). L’impoverimento costringe spesso a raf­for­zare i legami con le comu­nità, con esiti con­trad­dit­tori, accet­tare lavori di ogni tipo e a rispar­miare sui con­sumi di base, incluso il riscal­da­mento dome­stico. Que­ste stra­te­gie non pos­sono tut­ta­via met­tere al riparo i disoc­cu­pati, e soprat­tutto le disoc­cu­pate, migranti dal rischio di una cro­ni­ciz­za­zione della povertà, i cui effetti si riper­cuo­tono anche sulle nuove gene­ra­zioni, che devono con­vi­vere con il mar­chio della disuguaglianza.

Il testo prende in con­si­de­ra­zione due comu­nità di migranti dif­fe­renti dal punto di vista dello sta­tus giu­ri­dico, del colore della pelle e della reli­gione, come i rumeni e i maroc­chini. Sia dal punto di vista delle con­di­zioni di par­tenza, sia per l’accesso a reti di sal­va­tag­gio da atti­vare nell’emergenza, emer­gono dif­fe­renze note­voli, che non per­met­tono una let­tura uni­voca. Nel com­plesso, infatti, i maroc­chini paiono poter ricor­rere a un capi­tale sociale mag­giore, frutto anche di una migra­zione di più lunga data, anche quando si tro­vano in situa­zioni peggiori.

Le reti sociali cui pos­sono acce­dere i rumeni sono invece meno svi­lup­pate, ma il loro rap­porto con il mer­cato del lavoro, anche gra­zie a con­tatti più diretti con gli ita­liani, appare più dina­mico. Ciò che emerge nel com­plesso è un intrec­cio di moti­va­zioni e pos­si­bi­lità che prende in con­si­de­ra­zione diversi fat­tori: dalle pro­spet­tive di vita in Ita­lia, alla valu­ta­zione di paesi alter­na­tivi per com­piere nuovi spo­sta­menti, all’impatto che assume l’immagine del paese di pro­ve­nienza, che rimane come costante rife­ri­mento. Anche da que­sto punto di vista, per rumeni e maroc­chini la per­ce­zione è dif­fe­rente: se per i primi, infatti, appare scon­tata la situa­zione nega­tiva della Roma­nia, ai mar­gini dell’Europa, tra i maroc­chini è cre­scente la sen­sa­zione che il Marocco stia cam­biando e possa offrire oggi nuove oppor­tu­nità. Que­ste valu­ta­zioni, tut­ta­via, non impli­cano scelte scon­tate: il ritorno è, infatti, imma­gi­nato, pos­si­bile, ma poco praticato.

Oltre a con­fer­mare l’inconsistenza di un’intepretazione di tipo idrau­lico delle migra­zioni, che con­ti­nua a pro­durre effetti poli­ti­ca­mente nefa­sti anche fuori dai think-thank della gover­nance glo­bale, l’interconnessione tra que­sta dina­mica di fram­men­ta­zione impo­sta del pro­prio tempo di vita e le pra­ti­che sog­get­tive per affer­mare la pro­pria posi­zione è senza dub­bio un ele­mento che esula dai casi spe­ci­fici trat­tati del volume e non è carat­te­ri­stica esclu­siva dei cicli di crisi economica.

Senza con­fini

Più che a una crisi della migra­zione, que­sta dina­mica ci parla di una ten­denza dif­fusa alla fram­men­ta­zione non solo degli spazi e degli sta­tus isti­tu­zio­nal­mente pro­dotti, ma anche dei tempi e della loro agi­bi­lità, che attra­versa il lavoro con­tem­po­ra­neo facen­done un ter­reno dif­fe­ren­ziato di lotta. Insomma, non siamo tutti sulla stessa barca, sug­ge­ri­scono i saggi di que­sto testo. Al tempo stesso, il volume mostra come i migranti non siano sem­pre e sola­mente uomini e donne che si affac­ciano per la prima volta ai con­fini dell’Italia e dell’Europa, ma siano un ele­mento impre­scin­di­bile della società nel suo complesso.

L’impatto della crisi mostra que­sta realtà, soprat­tutto in un ter­ri­to­rio ricco di con­trad­di­zioni come il Veneto. Evi­tare passi indie­tro verso visioni sem­pli­ci­sti­che che, con il giu­sto obiet­tivo di ripor­tare i con­fini al cen­tro del dibat­tito, rischiano di espel­lere chi quei con­fini con­ti­nua ad attra­ver­sarli quo­ti­dia­na­mente navi­gando a vista, è oggi un ele­mento poli­ti­ca­mente irri­nun­cia­bile per distri­carsi nel labi­rinto della precarizzazione.

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