di FELICE MOMETTI
A nemmeno un’ora dalla vittoria di Zohran Mamdani a sindaco di New York, il New York Times ha pubblicato un lungo articolo a firma del Comitato editoriale dal titolo: “Come Mamdani può scrivere il prossimo capitolo di New York”. Un messaggio chiaro da parte dell’establishment democratico a moderare il programma di congelamento degli affitti, dei trasporti gratuiti, dell’apertura di supermercati a prezzi controllati. L’elezione di Mamdani ha portato allo scoperto la profonda crisi della strategia del Partito democratico contro Trump. Perché la posta in gioco non era solo il governo della città, ma anche come opporsi alla svolta autoritaria imposta dall’amministrazione Trump in connessione con alcuni settori dinamici del capitale americano.
Le divisioni interne ai democratici sono emerse anche in questa tornata elettorale in cui, tra gli altri, si eleggevano oltre al sindaco di New York i governatori di due stati come il New Jersey e la Virginia. In Virginia e nel New Jersey i democratici hanno vinto presentando due candidate espressione del centro moderato del partito: Abigail Spanberger, ex ufficiale operativo della CIA, e Mikie Sherrill, ex ufficiale elicotterista della Marina americana. Mamdani ha rappresentato la contraddizione di una linea politica vincendo le primarie in giugno e poi le elezioni. La vittoria nelle primarie è avvenuta con una campagna di comunicazione fuori dalle liturgie politiche e di partito e sullo slancio di una progressiva mobilitazione elettorale che ha visto in prima fila innanzitutto giovani bianchi che a New York sono stati anche la spina dorsale delle proteste contro Trump di questi mesi. Nei quattro mesi che hanno separato le primarie dalle elezioni, Mamdani è stato investito da molte aspettative e ruoli diversi. Da quello che riguarda la rigenerazione, concentrata in una persona, della sinistra radicale americana secondo i Democratic Socialists of America e riviste come Jacobin e In These Times, passando per l’essere una risorsa per riformare il Partito democratico secondo Obama, che non ha formalmente sostenuto Mamdani ma ha promosso l’apertura di un dialogo e un confronto tra gli staff tecnico-politici dei due. L’obiettivo è la creazione di un apparato politico-amministrativo in grado di realizzare (e condizionare) il programma del nuovo Sindaco. Stessa prospettiva dei principali sindacati di New York – città più sindacalizzata degli Usa – che sono passati precipitosamente dal sostenere alle primarie Andrew Cuomo, molestatore seriale delle sue collaboratrici e uomo del grande capitale newyorchese, per poi schierarsi con Mamdani alle elezioni.
Che la situazione stava cambiando se ne è fatto interprete perfino Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan-Chase – la piu grande banca americana e del mondo per capitalizzazione in borsa – che in luglio, dopo la vittoria di Mandami alle primarie, aveva definito i democratici “idioti dal cervello piccolo”, e in una recente intervista si è dichiarato disponibile a lavorare con il nuovo Sindaco per il bene di New York. Infine ci sono le aspettative del milione e passa di elettori ed elettrici che hanno votato Mamdani e che vedono in lui un cambio di politica in grado di rispondere a dei costi economici e sociali ormai insostenibili per la maggioranza della popolazione di New York. Mamdani è chiamato a essere tutte e tre le cose insieme: rigeneratore della sinistra radicale, riformatore del partito democratico, Sindaco che mette sotto controllo le diseguaglianze e la redistribuzione del reddito. È più che evidente che non può giocare questo triplo ruolo e una scelta deve essere fatta. A un primo sguardo della mappa elettorale dei quartieri di New York, tenendo conto che un personaggio squalificato come Cuomo ha preso in generale più del 40% – con punte molto elevate nei distretti dei super-ricchi bianchi di Manhattan, tra gli ebrei ortodossi di Brooklyn e tra gli asiatici del Queens – si vede che Mamdani, rispetto alle primarie, ha recuperato tra gli afroamericani di Brooklyn, i latini del Bronx e ha sfondato tra i giovani di Manhattan e di Brooklyn. Tuttavia i primi commenti entusiastici sulla partecipazione al voto per il sindaco trainata da Mamdani dovrebbero essere calibrati sul reale trend degli ultimi 12 anni, in cui non è mai stato superato il 26% per arrivare a poco più del 40% degli aventi diritto in questa tornata elettorale.
I prossimi mesi saranno decisivi per vedere se la spinta elettorale di decine di migliaia di volontari della campagna di Mamdani si trasforma in un processo di politicizzazione che assume i contorni di un movimento sociale che tiene insieme la lotta politica contro la pericolosa deriva autoritaria rappresentata dal trumpismo e le rivendicazioni sociali della maggioranza delle e dei newyorchesi.