A pochi giorni dalla sconfitta elettorale di Milei nella provincia di Buenos Aires, la più popolosa dell’Argentina, pubblichiamo le considerazioni di Diego Fernández Peychaux sugli eventi che hanno portato il peronismo a ottenere il 47% dei voti, con un distacco di ben 13 punti dalla Libertad Avanza di Milei. Questa vittoria indica che migliaia di lavoratori e lavoratrici precari, donne, studenti, pensionati e pensionate stanno respingendo le politiche ultraneoliberali dell’attuale presidente, il quale, pur avendo ridotto l’inflazione, ha messo in ginocchio scuole, università, sanità e lavoratori del settore pubblico.
Dopo lo scandalo di corruzione nell’Agenzia Nazionale per la Disabilità, dove si usavano i fondi per campagne politiche, mentre allo stesso tempo venivano tagliati in modo brutale i programmi sociali dedicati alle persone con disabilità, Milei, come dice Diego Fernandez, «non è più invincibile». È stato contestato, infatti, non solo con le sassate ricevute a Lomos de Zamora, ma con un voto che pur non cambiando radicalmente le carte in tavola, apre le porte a nuova partita per le elezioni di ottobre, rispetto alle quali sarà necessario rispondere al malcontento di massa e offrire un’alternativa radicalmente diversa dal presente neoliberale e patriarcale di Milei.
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“Il partito di Milei subisce una sconfitta: i peronisti vincono le elezioni provinciali di Buenos Aires”, titola La República questo lunedì, dopo la pubblicazione dei risultati elettorali in Argentina. Per comprendere il legame tra la sconfitta degli uni e la vittoria degli altri, è opportuno chiarire alcuni punti con una breve cronaca, anche se essa mostra solo la punta dell’iceberg.
Per cosa si è votato?
Domenica scorsa, la provincia di Buenos Aires, la più grande dell’Argentina, che concentra quasi il 40% del totale degli elettori dell’intera Repubblica, ha eletto i membri del Parlamento provinciale e dei consigli comunali. In altre parole, non sono stati eletti né il governatore, né i sindaci, né alcun rappresentante al Congresso Nazionale.
Questa situazione non è usuale, anzi, è la prima volta nella storia che queste elezioni provinciali non coincidono con le elezioni nazionali. Fino ad ora, si era sempre preferito che l’apparato territoriale dei partiti, quello in grado di organizzare il “porta a porta” per convincere l’elettorato, si mobilitasse per le candidature nazionali. Questa volta, invece, si è preferito separare le elezioni locali da quella che sembrava una sicura sconfitta per i candidati peronisti alle elezioni nazionali di ottobre, in cui saranno eletti i deputati e i senatori del Congresso Nazionale nelle 24 province.
Per questa ragione i risultati non incidono minimamente sulla mappa istituzionale del potere nazionale. Il partito di Milei non ha né guadagnato, né perso deputati o senatori. Almeno sulla carta. Tuttavia, se è vero che le percentuali di domenica scorsa formalmente non aggiungono né sottraggono voti al Congresso, nondimeno esse producono un effetto che, per quanto simbolico, non manca di avere un forte impatto politico. Da qui l’importanza della sconfitta e della vittoria.
Come siamo arrivati a questo punto?
La cronaca di questa situazione dovrebbe partire almeno dal 18 maggio di quest’anno, quando il partito di Milei ha vinto le elezioni contro il partito dell’ex presidente Mauricio Macri nel suo distretto storico, ovvero la Città Autonoma di Buenos Aires. Per comprendere il significato dell’aggettivo “storico”, chi legge deve considerare che, nel 2023, Mauricio si era concesso il lusso di imporre suo cugino come capo del governo della città.
Lo shock si era fatto sentire su tutto lo scacchiere politico. I governatori provinciali che fino a quel momento erano indecisi hanno deciso di “separare” le elezioni, ovvero di far sì che le elezioni locali non coincidessero con quelle nazionali. Affrontare Milei era come andare incontro a una sicura sconfitta. I disastri economici, la crisi sociale e politica facevano già parte del dibattito, ma il fatto che Milei si fosse imposto in città con lo slogan “fine del kirchnerismo” ha fatto pendere la bilancia a favore della minimizzazione dei rischi. Milei appariva come “l’invincibile”.
Intanto il partito di Macri (Propuesta Republicana) aveva ceduto alla richiesta di resa incondizionata e si era quasi dissolto in un’alleanza con il partito molto più forte del presidente. Meglio la coda del leone che quella del topo, sembrava aver pensato Macri. Con il senno di poi, ha sbagliato – e di molto -, perché ha dovuto seguire Milei nella sua sconfitta e gettare al vento il premio di consolazione: essere, almeno, una terza forza dignitosa. I fedeli a Macri che non hanno accettato la resa hanno formato un nuovo partito, “Somos Buenos Aires”, e non sono andati male: hanno vinto alcune presidenze e ottenuto il 5,26% dei voti.
Nel peronismo, la decisione presa dal governatore Axel Kicillof di indire le elezioni provinciali non è stata accolta con favore unanime. Il rischio era quello di perderle, come era accaduto nella città di Buenos Aires, e inoltre di togliere slancio alla macchina peronista nelle elezioni di ottobre. Può ancora succedere. La tensione sembra essere sempre la stessa: in che misura l’apparato territoriale del partito può sostenere il voto delle cariche nazionali? Tanto più che, come in ottobre scorso, le schede saranno tutte nella stessa busta.
Con gli stivali ai piedi
Nel peronismo, le acque erano agitate già nel maggio porteño. Il governatore Kicillof, che è arrivato alla guida dello Stato nelle elezioni del 2019, in cui Alberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner avevano sconfitto Macri, stava tentando dal 2023 alcune azioni di autonomia politica. Era tempo, diceva il governatore, di provare “nuove canzoni” che facessero innamorare un elettorato che aveva votato in massa per un personaggio che aveva fatto campagna elettorale con una motosega in mano.
Infatti la sua decisione di modificare il calendario elettorale provinciale è stata presentata come un tradimento nei confronti della sua “madre” politica, dal momento che Cristina Kirchner si era apertamente dichiarata contraria. Tuttavia, a un certo punto ha prevalso un po’ di buon senso e la situazione non è degenerata. In contrasto ma unite, le fazioni del peronismo sono riuscite a convergere su un’unica offerta elettorale, sia per questa domenica che per il prossimo ottobre.
Match point
La moneta è stata lanciata in aria. Anche se non mancano coloro che credono di sapere da che parte cadrà, essi dimenticano che i problemi del mondo sono troppo vasti per la comprensione umana. Per questo esiste la politica.
Cristina, che ha già ricoperto due volte la carica di presidente, si candida come deputata per la terza circoscrizione elettorale: il cuore territoriale del peronismo storico. Ma la Corte Suprema di Giustizia, con una decisione infame, ha confermato una sentenza giudiziaria di un processo ampiamente contestato per le sue irregolarità procedurali, che impedisce a Cristina di candidarsi alle elezioni.
La situazione economica del Paese si è complicata. Da marzo, la stabilità è sempre più vacillante. Al di là dei giochi di prestigio finanziari del governo nazionale, il dollaro non smette di apprezzarsi sul peso; l’inflazione cala, ma si attesta su un livello che sarebbe scandalosamente alto (tra l’1 e il 2% mensile) per la maggior parte degli Stati; l’attività economica ne risente, e tutto questo avviene mentre si tagliano le spese essenziali per l’istruzione, la sanità e le prestazioni sociali.
Le indecenti scene di repressione si ripetono nell’Argentina di Milei ormai da un anno e mezzo. Le aggressioni verbali del governo nei confronti della popolazione e dell’opposizione surriscaldano ancora di più gli animi, al punto che la campagna del partito di Milei è partita con una provocazione: una foto dei candidati che reggono un cartello con la frase “Mai più kirchnerismo”. Sì, quel “Mai più” che simboleggiava la fine della violenza del terrorismo di Stato durante la dittatura, banalizzato per proporre all’elettorato nientemeno che l’eliminazione del kirchnerismo. “Kuka[rachas]”, ovvero “insetti immondi”, grida spesso il presidente ai politici kirchneristi.
Inoltre nelle ultime settimane di agosto si è verificato uno scandalo politico, il cui impatto non è ancora del tutto emerso. Il governo era già riuscito a districarsi dallo scandalo della truffa della criptovaluta Libra[1], ma la fuga di notizie di alcune registrazioni audio di un funzionario è tutta un’altra cosa. Ascoltare un amico del presidente spiegare che Karina Milei, sua sorella, riceve il 3% di tangenti per gli appalti statali di medicinali per disabili non sembra essere stato privo di conseguenze, forse perché il presidente ha posto il veto su una legge che dichiarava lo stato di emergenza nell’assistenza alle persone con disabilità; forse perché sono state cancellate le pensioni a quelle stesse persone; forse per queste e tante altre brutalità.
Nelle settimane precedenti l’ultima domenica, alla Camera dei Deputati e al Senato del Congresso Nazionale non solo sono state votate leggi per obbligare il governo a rivalutare le spese per l’inflazione in settori sensibili (pensioni, sanità e istruzione), ma è stata ottenuta la maggioranza per revocare i veti presidenziali a tali leggi. Ottenere questa maggioranza nel Congresso nazionale implica ciò che fino a pochi mesi fa era impensabile: l’opposizione kirchnerista e anti-kirchnerista ha iniziato a votare unita.
Il freno
Il prevedibile “pareggio tecnico” di sabato sera si è trasformato domenica in un profumo di vittoria. Non sono bravo a fare ipotesi sociologiche, mi limito a sottolineare un dettaglio per delineare la complessità della situazione: nel comune di Bahía Blanca, a sud della provincia, hanno vinto i candidati di Milei. È sorprendente. Lì, nel 2024, si è verificata un’alluvione storica per la quale il governo nazionale ha negato i fondi per la ricostruzione della città.
Tuttavia, se c’è una cosa che possiamo prevedere, è che Milei ha perso la sua aura di invincibilità. La sua crudeltà ha trovato un freno. Il peronismo della provincia di Buenos Aires, dal canto suo, ha vinto di nuovo dopo decenni alcune elezioni legislative (in cui non sono in gioco cariche esecutive).
Minimizzare i danni sembrava essere la parola d’ordine. «Frenare Milei» è lo slogan, ma anche un aspetto decisivo dell’azione politica: convincere l’elettorato che i problemi diffusi causati da uno Stato nazionale ritiratosi e paralizzato non si risolvono con la magia. Questo richiede un buon governo e un’abilità politica da parte del governatore e dei sindaci della provincia appartenenti alle diverse fazioni del peronismo, che domenica hanno riconfermato la maggioranza nella Legislatura e nei Consigli deliberativi.
E adesso?
La composizione dell’alleanza che ha portato il peronismo alla vittoria nel 2020 non sembra riproponibile. Tuttavia, Kicillof ha ora un capitale politico considerevole. La scommessa gli è andata bene: dall’ “evitare danni” è riuscito a vincere. Ieri alla festa c’erano tutti i gruppi peronisti.
In vista di ciò che verrà, nel peronismo giocano un Kicillof rafforzato, una Cristina indispensabile, gruppi come Argentina Humana di Juan Grabois[2], i sindacati (un termine che racchiude esperienze e percorsi molto diversi), gli altri governatori peronisti. Giocano tutti. Ma le carte della scorsa settimana, senza dubbio, sono passate di mano.
Un fronte contro Milei spinge il peronismo a superare le differenze e a cercare alleanze con settori politici e sociali feriti da una politica squilibrata. Il 2027, quando si sceglierà nuovamente chi occuperà il potere esecutivo, è lontano; ma per molti aspetti, anche Ottobre 2025, quando si sceglieranno i deputati e i senatori nazionali, è molto lontano!
[1] Lo scandalo è nato dal fatto che il presidente Milei ha generato una criptovaluta per raccogliere fondi per lo sviluppo del Paese, ma in poche ore essa è ha perso qualsiasi valore. Si veda a tale proposito https://www.nytimes.com/es/2025/02/28/espanol/america-latina/criptoestafa-argentina-milei.html
[2] Leader che ha partecipato alle primarie presidenziali del partito peronista nel 2023, proveniente dai movimenti sociali e legato a Papa Francesco.