∫connessioni precarie

Bloccare la guerra, costruire il movimento. Voci dal porto di Ravenna

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Recentemente è nato a Ravenna il Comitato Autonomo Portuale, con la speranza di riunire non solo i portuali ma anche altri lavoratori che operano nello scalo romagnolo. Come raccontano i due lavoratori del porto che abbiamo intervistato, l’esperienza ha preso avvio sulla scorta dei collettivi e gruppi autonomi sorti a Genova e Livorno, dai quali si differenzia per non essere ufficialmente sindacalizzato: ogni componente ha la propria tessera sindacale in tasca. La situazione ravennate è molto diversa da quella genovese. La scelta di praticare una programmatica trasversalità rispetto alle sigle sindacali è politicamente interessante ed è una cosa molto diversa dall’invocazione di una improbabile unità sindacale. Anche la dichiarata estraneità rispetto a tutti i partiti non è un’ingenua equidistanza, ma la ricerca di stabilire le basi di un’iniziativa politica autonoma di tutti i lavoratori che attraversano i porti. Siamo così di fronte al progetto di arrivare a una struttura «nazionale e internazionale dei porti, che possa coordinare gli interventi contro la guerra».

In questo senso il CAP è parte integrante del movimento sociale transnazionale che si oppone alla guerra in tutte le sue manifestazioni. Esso si sta impegnando in un’opposizione sistematica alla guerra, che ora vede due momenti fondamentali nella lotta contro il genocidio a Gaza e nella solidarietà alla Global Sumud Flotilla. La scorsa settimana, grazie alla pressione esercitata sulle istituzioni locali, i lavoratori portuali insieme al CAP e i sindacati sono riusciti a bloccare due container con materiale bellico destinato a essere imbarcato per Israele, riuscendo a coinvolgere un’ampia rete di forze cittadine. Ci pare che il CAP sia un’espressione di quel movimento che, sebbene sia nato da tempo, adesso sta mostrando in massa tutta la propria forza. Abbiamo incontrato il Comitato Autonomo Portuale per capire come si stanno organizzando e per ascoltare la sua voce, in questo momento particolarmente intenso di lotta dentro alla Terza guerra mondiale.

***

∫connessioni precarie: Potete descriverci come è organizzato il lavoro portuale a Ravenna? Com’è composta la forza lavoro tra soci e interinali? E quali sindacati hanno più peso storicamente?

CAP: Il porto di Ravenna è uno dei più importanti del Mediterraneo per l’importazione di cereali e graminacee. Il sito portuale è esteso e arrivano soprattutto grano, fosfati per l’agricoltura, argilla, ferro e altro ancora. Questo significa che molti di noi lavorano senza quasi mai toccare container. Le merci vengono lavorate in Italia e poi spedite sul Tirreno per la rotta atlantica. I container sono movimentati in due terminal, da cui partono anche alcune linee della compagnia ZIM dirette fino in Israele.

Siamo circa 480 soci della cooperativa portuale, a cui si aggiungono una sessantina di interinali che lavorano stabilmente e che diventano il serbatoio da cui attingere nuovi soci. Negli ultimi dieci anni è cresciuta molto la presenza di lavoratori migranti, soprattutto dall’Europa dell’Est ma anche dall’Africa. Sul piano sindacale, qui storicamente dominano i confederali, in particolare CGIL e CISL. Nel porto la presenza di sindacati di base è quasi nulla; mentre in altri stabilimenti, come Marcegaglia, ci sono anche la FIOM e sigle di base.

∫connessioni precarie: Come nasce il Comitato Autonomo Portuale?

CAP: L’incontro con i portuali del GAP di Livorno è stato decisivo. Durante un evento pubblico, qualcuno dal pubblico chiese: «e i portuali di Ravenna che cosa fanno?». Da lì è scattata la scintilla. All’inizio eravamo in tre e ci siamo chiesti subito chi dovesse far parte del comitato: solo gli operatori della cooperativa o anche altre figure che lavorano nel porto? L’esperienza personale di alcuni di noi, che avevano lavorato in Palestina e avevano già rapporti con giornalisti e attivisti, ha favorito i primi contatti. Il comitato è nato qualche mese fa, all’inizio in modo sotterraneo, per poi uscire gradualmente allo scoperto. Prima abbiamo osservato, discusso, costruito relazioni, mentre nel frattempo si muovevano sindacati e istituzioni. Ci siamo costituiti come comitato apartitico e a-sindacale, ma abbiamo comunque cercato dialogo e protezione sia dal lato dei sindacati sia da quello delle autorità locali. Ci chiamiamo CAP –Comitato Autonomo Portuale, non “dei portuali” –proprio per essere aperti ad includere non solo gli scaricatori, ma anche altre figure che operano nel porto.

∫connessioni precarie : Quale spazio si è aperto dalla nascita del Comitato?

CAP: Ora è un momento in cui c’è grande attenzione verso il movimento contro la guerra, contro il genocidio in Palestina e verso i portuali, negli scorsi anni però non è stato sempre così. In passato abbiamo dovuto a lungo discutere e anche scontrarci con i colleghi che spesso non erano affatto interessati. Il punto è stato anche quello di non ridurre le cose all’idea della solidarietà ma anche chiedersi chiaramente: ma secondo voi tutte ‘ste guerre qui, ma chi cazzo le paga? Lavoriamo sempre di più per guadagnare gli stessi soldi, la vita è sempre più costosa e i salari sono fermi, tagliano il welfare, vi rendete conto che la guerra e anche qui? Che ci riguarda? Questo è stato il piano di discussione, non è sempre liscio, a volte ho pensato che certi concetti è più facile metterceli nel culo che nella testa.

∫connessioni precarie : Quali sono stati i primi passi?

CAP: Un primo risultato è stato l’annullamento del meeting di UnderSec (Underwater Security), un progetto finanziato con sei milioni di euro tramite fondi del programma Horizon EU. L’Italia e altri 22 enti provenienti da dieci paesi diversi dell’Unione europea più Israele, partecipano a questo programma di sicurezza marina e sottomarina. In sostanza il porto di Ravenna ha dato disponibilità a fare dei test con droni subacquei che hanno tecnologia e produzione israeliana. Strumenti che potrebbero essere in futuro utilizzati in altri teatri di guerra. Qualcosa che per noi lavoratori e per l’intera cittadinanza di Ravenna è inaccettabile.

∫connessioni precarie : La Flotilla e la grande piazza di Genova sono state sicuramente l’innesco del movimento di massa che in questi giorni sta occupando strade, autostrade, porti e stazioni. I portuali sono stati le figure che hanno permesso di rompere la sensazione di impotenza e di poter fare qualcosa per davvero contro la guerra. Pensi che anche a Ravenna voi siate investiti di questo ruolo simbolico?

CAP: Le cose sono un po’ differenti qui. Genova è una citta portuale, Ravenna è una citta con un porto. Non c’è la stessa prossimità e la distanza topografica si sente anche come distanza identitaria. Forse anche per questo, rispetto al volume dei traffici che mobilitiamo, Ravenna è una citta di cui si parla poco per quanto riguarda le gesta dei portuali.

Dai compagni di Genova abbiamo imparato e continuiamo a imparare tantissimo. Credo però che ci siano importanti differenze con il CALP: siamo nati in momenti e con esigenze diverse. Per loro è stata anche un’uscita dalla CGIL per confluire in USB, noi stiamo facendo una cosa diversa, penso che costruire un comitato per obiettivo tenendo fuori la rappresentanza sindacale – benché al nostro interno ci siano ovviamente persone iscritte a sindacati e partiti –sia un unicum in Italia. Il nostro unico obiettivo è fermare il traffico d’armi. Non abbiamo problemi con nessun sindacato, ma chiediamo che non si usino le nostre immagini sotto le bandiere, per evitare confusioni.

∫connessioni precarie: Come si è svolto il blocco dei container che avete fatto?

CAP: Quando movimenti i container non sai mai cosa c’è dentro, lo sa solo chi ha in mano i documenti e quante persone sono? Non saprei, diverse persone però. Se esce la notizia che ci sono armi e i portuali bloccano il carico è facile risalire a chi ha parlato e quei lavoratori rischiano di andarci in mezzo. Per questo il fatto che ci sia attenzione, organizzazione e sostegno da varie parti è determinante affinché chi lavora in porto non si senta solo. In questo caso è andata proprio così . Hanno visto che c’era materiale bellico e qualcuno ha parlato. I sindacati confederali avevano fatto uscire un comunicato CGIL, CISL, UIL in cui si richiamava all’obiezione di coscienza. Per onestà intellettuale è doveroso sottolineare il ruolo proattivo della FILT-CGIL che ha contattato l’amministrazione locale paventando una mobilitazione; ed è così che la politica ha deciso di bloccare l’imbarco, dicendo chiaramente: “Ravenna non vuole imbarcare quei contenitori e li rispedisce indietro”. Il sindaco era in Piazza del Popolo dove c’è stata la partenza del corteo. È un buon segnale e da lì si può costruire qualcosa.

∫connessioni precarie: Come è stata la partecipazione ai due scioperi, quello di venerdì indetto dalla CGIL e quello di lunedì di USB e sindacalismo di base?

CAP: I portuali hanno scioperato sia lunedì che venerdì. USB qui non è molto radicata, quindi non saprei dire se le aziende hanno ricevuto comunicazione. In teoria basta la proclamazione nazionale, ma nella pratica fa la differenza avere un volantino o un delegato con cui parlare. Le piazze a Ravenna hanno avuto una composizione diversa, in linea con quelle di tutta Italia, venerdì era soprattutto mondo del lavoro mentre lunedì , oltre a lavoratori e lavoratrici c’è stata un’adesione di massa di giovani, studenti, attivisti. Non è semplice dare dei numeri rispetto alle adesioni, purtroppo il porto ha lavorato sia venerdì che lunedì . Abbiamo visto tanti tesserati CISL aderire alla manifestazione di venerdì . Credo sia plausibile che lo stesso valga anche per lunedì . Ciò che è certo è che uno sciopero unitario avrebbe permesso di bloccare davvero il porto.

∫connessioni precarie: Che giudizio vi siete fatti sulle dinamiche sindacali di questi giorni? La CGIL ha perso un’occasione facendo prevalere la logica della competizione sul resto?

CAP: Forse. Allo stesso tempo non siamo rimasti sorpresi, se i sindacati di base proclamano uno sciopero senza coinvolgerti, posso comprendere che il primo sindacato italiano possa avere qualcosa in contrario ad aderire. Su queste cose i sindacati basano le dinamiche di rappresentanza. USB è chiaramente in competizione con la CGIL perché sa che se qualcuno cambia tessera viene da lì , difficilmente da CISL o UIL. Sono dinamiche che io posso anche capire, senza scusare né gli uni né gli altri –il fosso si fa con due rive –e questo sarebbe il momento in cui costruire un fronte sindacale unitario risulta indispensabile.

∫connessioni precarie: Come pensate che andrà avanti la lotta?

CAP: Bisogna vedere cosa accade nei prossimi giorni. I compagni di Genova hanno lanciato la parola d’ordine di bloccare tutto. C’è una sommossa per bloccare anche le navi cariche di materie prime e di prima necessità nei confronti di Israele. Al momento non ne siamo in grado e pensiamo che occorra forzare le istituzioni per avere un blocco governativo. La legge 185 del ’90 ci permette di muoverci più liberamente sul traffico d’armi ma non è uguale per la frutta o altre merci. Dopo il 7 ottobre 2023, l’UAMA (Ufficio per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento), dovrebbe impedire di mandare armi o componenti bellici in qualsiasi destinazione esterna agli stati membri UE. Anche se c’è il pericolo che lo Stato di arrivo rivenda armi a terzi di dubbia intenzione è possibile bloccare il carico. Non c’è quindi la stessa copertura legale per tutti i tipi di carichi. Per questa ragione auspichiamo che il movimento possa fare pressione per agire a livello di politiche commerciali contro uno Stato che si macchia quotidianamente di crimini contro l’umanità . Bloccare tutto ciò che è diretto a Israele solo a Ravenna ci potrebbe procurare una serie di problemi.

∫connessioni precarie: Ora quali saranno i prossimi passi?

CAP: Per mesi ci siamo mossi in modo quasi sotterraneo, ora siamo venuti fuori ma non abbiamo ancora avuto un vero momento pubblico. Il 26 settembre Francesca Albanese è venuta qui al porto, per incontrare i portuali e abbiamo un dibattito insieme a Ruba Salih, docente di Bologna e alla giornalista Linda Maggiori. È stato il momento più pubblico di quelli che abbiamo avuto nelle ultime settimane e negli ultimi mesi, nel complesso non ci interessa particolarmente ampliare il comitato, ci interessa piuttosto mantenerlo vivo affinché ci siano comunicazioni costanti sulle armi che passano. A noi interessa fare una piccola nazionale e internazionale dei porti che possa coordinare gli interventi contro la guerra e che sia possibilmente anche riconosciuta e sostenuta da sindacati e istituzioni.

Per noi il punto è un progetto duraturo in grado di fermare il traffico d’armi. Nel nostro logo non abbiamo messo i colori della Palestina, non certo per mancanza di solidarietà verso il popolo palestinese ma perché non pensiamo né vogliamo che la lotta contro il genocidio esaurisca il problema delle armi. Ci sono e ci saranno altre guerre, questo comitato è trasversale, senza bandiere, ci consideriamo antimilitaristi, internazionalisti, apartitici senza appartenenza sindacale. Noi vogliamo utilizzare i canali del sindacato e della politica per il nostro fine: non prendere parte, nemmeno indirettamente nella filiera del transito di armi.

Immagine di copertina: Manifestazione per Gaza e la Palestina a Ravenna (foto Zani)

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