Ripubblichiamo la recensione pubblicata su «Il Manifesto» del 23 agosto 2025 col titolo L’Argentina e quel concetto di libertà da ridiscutere come antidoto agli autoritarismi.
Ci sono molti modi di combattere un governo autoritario e classista come quello di Javier Milei in Argentina: scioperare, manifestare nella strada e nelle piazze, esercitare pressione sulla minoranza parlamentare sempre più frammentata, oppure scrivere un libro collettaneo.
La libertad tiene espinas. Historia del concepto en la filosofía política, a cura di Cecilia Abdo Ferez e Diego Fernández Peychaux, appena pubblicato per la casa editrice Eudeba di Buenos Aires, raccoglie i contributi di alcuni tra i più importanti filosofi e filosofe del paese, perlopiù formatisi politicamente e intellettualmente durante i primi anni Duemila, nelle lotte popolari per opporsi alle politiche neoliberali che hanno condotto al disastro la società argentina.
Il libro, in cui analisi teorica e intenzionalità politica sono quasi indistinguibili, assume come oggetto di indagine il concetto più evocato dal presidente in carica e dai suoi accoliti, un concetto che è immediatamente «un valore utilizzato oggi come una parola d’ordine politica», che però, in maniera apparentemente paradossale, funziona come strumento di dissoluzione della politica stessa, e forse ancora di più della società come luogo del disaccordo.

Non a caso i riferimenti alla libertà nel discorso di Milei operano come strumento di «erosione delle forme usuali di organizzazione delle società occidentali»; cosicché in nome di una libertà astratta e personale si distruggono «le» libertà concrete e collettive. Separando la libertà dal diritto – inteso come uno spazio contendibile – e sostituendolo con il riferimento a una biologia pseudo-darwinista, per il neoliberismo risulta relativamente facile separarla anche dal potere democratico, cosicché le sorti delle democrazie contemporanee finiscono per oscillare tra una versione illiberale e un libertarismo ademocratico.
Come afferma l’introduzione, il volume cerca «altri significati della libertà, in una storia troppo ricca per limitarla a quella esistente o alla propaganda»; e cerca anche «vie d’uscita, retroversioni, scorciatoie, recuperi, che consentano di ripensare ciò che è in pericolo»: un percorso che non fa sconti, cogliendo nel dipanarsi storico e teorico delle libertà moderne aspetti equivoci che definiscono un plesso problematico (si veda il saggio su Marx) e punti ciechi che generano un rovesciamento della libertà stessa in servitù volontaria (evocata nel saggio su Machiavelli e ripresa nell’ultimo intervento sul comune).
I ventuno contributi condividono quindi un approccio engagée alla filosofia politica, scavando in autori e autrici ben noti (Machiavelli, Hobbes, Spinoza, Hegel, Tocqueville, Luxemburg) e altri molto meno frequentati (Guamán Poma de Ayala, Alexander Herzen, Judith Shklar).
Di fatto i richiami alla contemporaneità sono costantemente presenti, generando una riflessione collettiva che rende il testo inassimilabile a una semplice ricostruzione storiografica del concetto di libertà. In quasi tutti i casi l’analisi dell’autrice o autore presi in considerazione si misura con l’attualità – esemplare il caso di Spinoza, messo a confronto con l’esperimento libertario (e fallimentare) del Free State Project –, mostrando le numerose possibili declinazioni – una fra tutte: la libertà come liberazione attraverso lo sciopero di massa in Rosa Luxemburg – di un concetto che, tanto sul piano teorico, quanto su quello ideologico-politico, non smette di essere un campo di battaglia per l’emancipazione di un mondo a venire, dove quella praticata sia una libertà «in» comune maggiore della somma algebrica delle libertà individuali.