Ripubblichiamo la recensione pubblicata su «Il Manifesto» del 14 ottobre 2025
Dopo la crisi del 2008, l’austerità si è imposta come principio guida delle politiche economiche europee. Dopo una breve sospensione durante la pandemia, oggi ritorna nella forma di un’austerità di guerra che taglia welfare e servizi per dirottare risorse verso la spesa militare. Alla base di questa logica vi è l’idea che le risorse siano naturalmente scarse e che i sacrifici – civili o militari – siano inevitabili. Una narrazione analoga opera anche nel campo ambientale: dagli anni ’60 in poi un neo-malthusianesimo ecologista ha attribuito la crisi climatica alla crescita demografica, distogliendo l’attenzione dalle responsabilità storiche del capitalismo globale. In entrambi i casi, la natura è invocata per presentare come inevitabili le scelte politiche.

Il volume di Jacopo Bonasera La natura in principio. Costituzione, società e governo nel pensiero politico di Thomas Robert Malthus (il Mulino, pp. 167, euro 16,00), introdotto da una prefazione di Carlo Galli, storicizza questo principio conservatore dando conto degli esiti politici e costituzionali dell’idea malthusiana secondo cui la popolazione cresce in progressione geometrica, mentre i mezzi di sussistenza aumentano solo in progressione aritmetica. Da qui l’idea, apparentemente neutra, che la povertà sia il risultato naturale dell’eccesso demografico. Bonasera compie l’operazione opposta: restituisce il principio di popolazione al suo contesto storico-politico, sottraendolo dalla dimensione astorica e universale in cui spesso è stato collocato.
Quel principio è quindi un dispositivo politico che aggancia l’ordine sociale alla disuguaglianza e sposta il conflitto dal terreno della rappresentanza a quello della necessità naturale. Come osserva Galli, “il principio di popolazione è in realtà il principio di disuguaglianza reso sistema scientifico”. Parlare di “popolazione” anziché di classi, infatti, consente di presentare la gerarchia sociale come una conseguenza delle leggi naturali: la grande operazione ideologica di Malthus è quella di attribuire ai poveri e alla loro riproduzione incontrollata la responsabilità della propria miseria. Bonasera mostra come Malthus si confronti con figure centrali del pensiero politico moderno – da Hobbes a Condorcet, da Godwin a Bentham – e come tenti di applicare alle scienze sociali il modello sperimentale newtoniano. Il principio di popolazione diventa così il perno di una scienza sociale che giustifica la proprietà privata e l’istituzione matrimoniale come fondamenti naturali dell’ordine.
La storia delle società si trasforma, in questa prospettiva, nella storia del disciplinamento delle passioni e dell’organizzazione delle risorse. Le donne, considerate da Malthus naturalmente predisposte alla cura, sono caricate del dovere morale di regolare la riproduzione in funzione della stabilità sociale. Ne emerge un ritratto di Malthus come teorico della disuguaglianza: la povertà non è un problema politico, ma il risultato di comportamenti individuali che devono essere corretti attraverso la prudenza, virtù cardinale che impone lungimiranza e autocontrollo. Così il principio di popolazione diventa anche una norma morale che regola la sessualità, in particolare quella delle donne, confinandola entro i limiti del matrimonio e della procreazione considerata socialmente sostenibile.
La terza parte del testo affronta il tema del governo, che nel pensiero di Malthus non si limita a operare entro i vincoli posti dalla costituzione: ha anche il compito di creare le condizioni sociali necessarie affinché il capitale possa esercitare un comando efficace sul lavoro. In questo senso, l’orizzonte imperiale incide sulla prospettiva malthusiana, che affida al governo coloniale la missione di costituire la società stessa. Attraverso l’azione amministrativa, si producono le condizioni “naturali” senza le quali il principio di popolazione non potrebbe funzionare come meccanismo di disciplinamento. Questo emerge con particolare chiarezza nelle pagine dedicate alle Poor Laws e all’Irlanda, dove si vede all’opera il dispositivo di naturalizzazione approntato dalla scienza politica di Malthus: la pretesa di racchiudere la società entro un ordine naturale, così che la natura diventi sempre un riferimento di stabilità di fronte al disordine politico generato dalle lotte sociali. Bonasera colloca Malthus nella crisi post-rivoluzionaria, quando il “popolo” e la classe operaia irrompono sulla scena pubblica con rivendicazioni di salario e rappresentanza; in questo modo, svela come il riferimento alla natura funzioni da leva normativa per addomesticare quelle rivendicazioni. Ne esce il profilo di un conservatorismo moderno: capace di usare scienza, morale cristiana e lessico della necessità per rendere legittima — e persino “benefica” — la disuguaglianza.
Con scrittura limpida e controllo filologico, Bonasera illumina il cuore politico del malthusianesimo: un’architettura di governo della società. Un libro utile oggi, quando il richiamo a limiti “naturali” riappare per chiudere il discorso sulle alternative. Storicizzare Malthus – e il suo principio – significa riaprire quel discorso.