Un accordo è stato raggiunto tra Hamas e Israele. Le bombe che sono state lanciate incessantemente per due anni sulle donne e gli uomini, le bambine e i bambini di Gaza dovranno finalmente tacere. A Gaza la notizia è stata accolta da grida di gioia, anche se l’IDF non ha ancora posto fine ai suoi attacchi. È la gioia di chi vuole vivere e non ha smesso di pretendere libertà anche nel mezzo della distruzione. Ci uniamo a quella gioia, dopo avere reclamato la fine del genocidio con gli occhi puntati su Gaza insieme a milioni di persone che hanno inondato le piazze, scioperato e manifestato la forza di un rifiuto. Ma dobbiamo domandarci quale ‘pace’ permette o promette l’accordo patrocinato da Trump, quale ‘pace’ è quella imposta da chi, sulla striscia di Gaza e in Cisgiordania, intende fare affari sulla pelle di coloro che sono sopravvissuti.
Sarà la pace garantita da chi ha chiuso le sue frontiere per non lasciare passare i profughi provenienti dalla Striscia, da chi vuole un ordine in Medio Oriente fatto di zone economiche speciali, controllo della libertà di movimento, patriarcato e razzismo. Non possiamo non volere il cessate il fuoco e la fine della morte e della distruzione. Ma dobbiamo pretendere qualcosa di più se non vogliamo ammettere che l’unica pace possibile sia quella costruita sulle macerie, che ci impone di scegliere tra la morte e la violenza dello sfruttamento e dell’oppressione.
Non possiamo distogliere gli occhi da Gaza e dobbiamo essere pronte a mobilitarci ancora perché l’orrore a cui abbiamo assistito per due anni non si ripeta. Ma dobbiamo tenere aperto lo spazio per una lotta che amplifichi la voce di chi a Gaza non vuole solo vita ma anche libertà, e quella di milioni di lavoratrici e lavoratori, donne, uomini, persone Lgbtq+ e migranti di ogni generazione che, sollevandosi per Gaza, hanno trovato la possibilità di rifiutare un presente e un futuro in macerie.
Vogliamo la pace e qualcosa di più. Per questo sabato 11 ottobre saremo all’assemblea di RESET Against the War a Bologna. Sarà per noi la prima occasione per discutere, insieme a molte e molti altri che hanno dato corpo al movimento dello sciopero, di come trasformare l’urgenza in progetto.