∫connessioni precarie

La fine dell’ideologia e la nascita del neoconservatorismo negli Usa

Una versione abbreviata di questa recensione è stata pubblicata su «Il Manifesto» del 30 aprile 2025

In vari momenti del Novecento l’ideologia è stata data per spacciata, polemicamente additata come elemento anacronistico in regimi liberali e democratici dove la politica è sembrata destinata a una dimensione tecnico-manageriale. Altrettanti sono i momenti in cui essa è rientrata in scena per descrivere e prescrivere la natura della democrazia e del liberalismo che provavano a liberarsene. Il libro di Michele Cento, L’ideologia Atlantica. La delegittimazione politica dalla guerra fredda culturale al neoliberalismo (1936-1967) (Le Monnier, 2023) ricostruisce un momento fondamentale di questa vicenda, restituendo il dibattito atlantico intorno all’ideologia tra gli anni ‘40 e il Secondo dopoguerra, quando una rete di intellettuali europei e statunitensi in prima linea nella cultural cold war si interroga sulla sorte delle ideologie e approda a un “liberalismo militante” ridefinito in senso neoconservatore.

Per questi intellettuali atlantici la critica dell’ideologia è un cammino di de-radicalizzazione e uno strumento brandito per comprimere lo spazio di agibilità politica delle democrazie atlantiche. L’ambizione è a una società e una democrazia spoliticizzate, da costruire a partire dalla drammatica constatazione che l’ideologia – ovvero la credenza religiosa nella perfettibilità umana tradotta in politica come volontà di dominio della e sulla storia – è un tratto della natura umana, capace in quanto tale di radicarsi in ogni cultura e regime politico. Pensare alla politica partendo dalla critica dell’ideologia, in questo quadro, deve offrire una bussola per contenere gli eccessi che rendono il governo un terreno di lotta, erodono le autorità e producono un alto livello di ingovernabilità. In un confronto intellettuale ricco di attriti e rotture, in cui si intrecciano motivi politici, religiosi e identitari, vengono in rilievo le falle della promessa liberale e democratica di integrazione sociale del dopoguerra. Allo stesso tempo si affilano le armi per attraversare tempi turbolenti riaffermando il valore del limite, dei vincoli e della disciplina di ambizioni e desideri individuali e collettivi.

È negli Stati Uniti che emerge chiaramente questa angolatura della riflessione sull’ideologia. Mentre intellettuali europei come Ignazio Silone e Raymond Aron temono soprattutto la persistenza di un’ideologia comunista vitale, in cui il millenarismo è tradotto in pulsioni totalitarie, gli omologhi statunitensi, tra cui spiccano figure come Daniel Bell e il neoconservatore Irving Kristol, rispondono a ridosso degli anni ‘60 e ‘70 a un movimento sociale e contro-culturale esplosivo: la riflessione della New Left lancia una sfida sistemica alla democrazia statunitense; il movimento del lavoro contesta l’ordine costruito sulla cooptazione di un sindacato che si è liberato di un passato di lotte per abbracciare la logica contrattualistica; il movimento afroamericano disinnesca l’impianto disciplinare e integrazionista che informa il welfare johnsoniano, con effetti destabilizzanti per una società che pretende di agire secondo una logica universalistica di emancipazione. Questa confluenza di rifiuto del lavoro, dell’autorità e delle gerarchie razziali, secondo Cento, non consente al liberalismo del New Deal e della Great Society di quadrare il cerchio del governo attraverso la promessa di sviluppo economico, accesso al consumo, fondamento tecnico e scientifico della politica e fine dell’ideologia. La critica dell’ideologia serve quindi a ridefinire le coordinate di un pensiero e una politica liberali accusati di aver ceduto a ideologiche ambizioni progressiste e “costruttiviste”, sfociando in una altrettanto ideologica riaffermazione di tradizione e valori come ultimo baluardo dell’ordine sociale minacciato da pretese individuali e di classe.

Al capolinea del cammino di de-radicalizzazione gli intellettuali atlantici offrono quindi come antidoto alle tentazioni ideologiche una sorta di utopismo restaurativo, un’ideologia proiettata nel passato anziché verso il futuro. La virata neo-conservatrice degli anni ‘70 è il colpo di coda vincente di un liberalismo in crisi. Su questo piano il neoconservatorismo e il neoliberalismo in ascesa intrecciano i loro destini, costituendo l’alleanza di cui continuiamo a vedere gli effetti.

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