venerdì , 19 Aprile 2024

Siamo il 97%, non staremo in silenzio. La sollevazione delle donne contro la violenza in Gran Bretagna

di ALICE FIGES

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La sera di domenica 13 marzo, nel Regno Unito, degli agenti di polizia hanno scaraventato e bloccato a terra diverse donne, riunite in una veglia per la morte di una trentatreenne che non avevano mai incontrato, Sarah Everard. La morte di Everard era stata confermata la mattina stessa. Dieci giorni prima, il 3 marzo, era sparita inspiegabilmente dalle strade del sud di Londra mentre rientrava a casa dopo la visita a un amico. Era soltanto un altro, ordinario, mercoledì sera. Domenica scorsa la polizia ha annunciato che i suoi resti sono stati trovati in un sacco, in un bosco del Kent. L’uomo accusato del suo rapimento e omicidio è un agente della polizia metropolitana, Wayne Couzens.

Un’ondata di rabbia ha attraversato le donne di tutto il Regno Unito. Una scossa politica risolutamente femminista, come non ne abbiamo viste per buona parte della nostra vita: un’esplosione catartica di lutto collettivo, empatia, rabbia pura. Nonostante la manifestazione sia stata vietata, centinaia di donne hanno sfidato il divieto e si sono presentate alla veglia a Clapham Common nel sud di Londra. Sarah Everard non ha fatto nulla per mettersi in pericolo: ha lasciato casa del suo amico alle 9 di sera. Ha chiamato il suo ragazzo, hanno parlato al telefono per quindici minuti. Dovevano vedersi il giorno dopo. Vestiva in modo «appropriato», un impermeabile, un cappello, scarpe da ginnastica. Ha percorso le strade principali, quelle più illuminate. Non viveva lontano. La risposta della polizia è stata di consigliare alle donne di «stare a casa», di pensare alla loro sicurezza.

Per poche ore è sembrato che si sarebbe ubbidito alla polizia e basta; la soluzione alla violenza maschile era ancora una volta richiedere alle donne di ritirarsi nel privato e di pianificare le proprie vite sulla base di qualcosa che potrebbe succedere oppure no. Qualcosa su cui, in ultima istanza, non hanno controllo. È stata di nuovo uccisa una donna, l’anno prossimo ci sarà qualche serie di merda su Netflix, a basso costo. Reclaim these Streets ha accettato di conformarsi agli ordini della polizia e di cancellare la manifestazione prevista a causa del Covid, pur dichiarando la convinzione che il distanziamento sociale avrebbe permesso di svolgere l’evento senza rischi per la sicurezza. Hanno portato il loro caso all’Alta Corte, ma hanno fallito. Così sembrerebbe. Il viso di Sarah Everard è stato semplicemente sbattuto sui giornali, i tabloid lo hanno permesso, evidentemente senza alcuna sensibilità per la reazione delle giovani donne che avrebbero osservato quel viso. Fissarla negli occhi, ancora e ancora, per ricordarsi dell’inferno in cui è passata nelle sue ultime ore di vita. Ma, si sa, le donne ammazzate fanno vendere bene i giornali e le serie tv.  

È difficile, soprattutto per le giovani donne nere o di colore, aspettarsi una risposta nazionale quando non ce ne è stata alcuna per Shukri Abdi, Blessing Olusegun, o le sorelle Bibaa Henry e Nicole Smallman, così come per migliaia di altre. L’anno scorso, alcuni agenti della polizia metropolitana si sono scattati dei selfie con i cadaveri di Henry e Smallman. Lo ha raccontato la loro madre, dando testimonianza della disumanità, del razzismo e della misoginia che come una cancrena infestano alcuni settori delle forze dell’ordine e in generale nella società britannica, dove una donna viene uccisa da un uomo ogni tre giorni. Perché non c’è stata un’indignazione della stessa portata per queste donne? Che dire delle 118 donne e ragazze uccise solo l’anno scorso, i cui nomi sono stati letti in Parlamento dalla deputata Jess Philipps? Ed era solo la minoranza, erano solo quelle i cui assassini, maschi, sono stati condannati. Che dire di quelle i cui assassini non sono stati denunciati? Che dire della continua violenza che colpisce le donne trans in tutto il mondo? Che dire delle donne drogate con GHB o alcol, a cui è stato detto che era colpa loro perché erano fuori a divertirsi?

Allora è sembrato che l’unico modo per rispettare la memoria di queste donne fosse disobbedire all’ordine di non uscire, senza aspettare l’autorizzazione di nessuno. Sicuramente non quella della polizia. Il diritto al lutto, il diritto di protestare, supera per importanza le norme legate al Covid. Le donne si sono rifiutate di essere carine e accomodanti come ci si aspetta sempre da loro. Questa non è stata «una morte», come la BBC ha dichiarato col suo tono placido, neutralizzante e disonesto, come se qualcuno fosse semplicemente deceduto accidentalmente. È stato un assassinio, un femminicidio, per mano di un uomo e dunque fondamentalmente politico, politico ancor prima di sapere che era stato commesso da un funzionario dello Stato: un agente di polizia. Non era in servizio, ma resta da chiarire se abbia agito abusando del suo distintivo, della sua autorità e della sua arma d’ordinanza per rapire Sarah Everard. Sappiamo che ha molestato un’altra donna tre giorni prima della scomparsa di Everard. La polizia ha ignorato le dichiarazioni della donna che ha fatto la segnalazione. Niente di sorprendente, trattandosi di un’istituzione che persegue solo il 3.9% delle denunce di violenza domestica sporte contro gli agenti. Il collettivo femminista radicale Sister’s Uncut ha rifiutato di stare a casa sabato. SU è stato fondato nel 2014 con l’obiettivo di combattere i tagli ai centri antiviolenza. Ha organizzato la veglia notturna a Clapham quando, poco dopo l’inizio degli interventi dal palco, la polizia è arrivata arrestando diverse giovani donne e facendo irruzione con una violenza che ha sconvolto migliaia di persone nel Regno Unito, perfino il Primo Ministro, noto ‘donnaiolo’, Boris Johnson.

È sempre Sister’s Uncut che ha organizzato la partecipata e furiosa manifestazione del giorno seguente, domenica, e di nuovo questa settimana. Migliaia di giovani donne e ragazze sono scese nelle strade per ricordare, con tutta la rabbia possibile, Sarah Everard e le altre vittime di femminicidio. Gli striscioni recitavano «stava solo tornando a casa», «potevo essere io», «se non possiamo fidarci della polizia, allora di chi?», «basta biasimare la vittima», e «siamo il 97%». Lo stesso giorno, infatti, un’indagine di UN Women ha riportato che in Gran Bretagna il 97% delle giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni ha subito molestie sessuali. Quasi immediatamente, è diventata virale sui social una grafica che diceva semplicemente «scrivimi quando torni a casa xx»’, un messaggio che tutte le donne, e in realtà anche persone gay e trans, capiscono fin troppo bene, per la violenza implicita che aleggia tra le righe. Il destino di Everard è il peggior esito di quella paura.

Questa esplosione dell’attivismo femminista curiosamente viene fuori in un momento in cui, per la prima volta nella storia della Gran Bretagna, sia il Ministro degli Interni sia il capo della polizia sono donne e hanno giocato un ruolo significativo: la celebre e draconiana ministra conservatrice, Priti Patel (con un approccio salviniano verso i migranti) e la comandante a capo della polizia metropolitana, Cressida Dick, che si è rifiutata di dimettersi nonostante le diverse richieste. Sembra che la reazione all’assassinio di Everard sia solo l’inizio di una scossa molto più ampia che si sta propagando nella società britannica, annunciando una crescita della disobbedienza civile.  Nell’ultimo anno il governo ha soffocato e costantemente represso il diritto di protestare, scivolando fermamente verso l’autoritarismo, il tutto con il pretesto delle misure di sicurezza per il Covid-19. Il nuovo Police, Crime, Sentencing and Courts Bill, introdotto lo scorso anno per indebolire le proteste di BLM ed Extinction Rebellion, consentirà alla polizia di porre fine alle manifestazioni semplicemente sulla base della loro potenziale «rumorosità» o «fastidio». Martedì, il disegno di legge è stato approvato nella sua seconda lettura alla Camera dei Comuni. Ora si sta tentando, in un ultimo disperato tentativo, di bloccare il disegno di legge alla sua terza lettura in Parlamento.

Questo viene percepito come un attacco alla democrazia stessa. Rifiutarlo è l’ultima occasione che può essere colta dalle donne, dalle nere, dagli ambientalisti e da tutte le minoranze per difendersi dalla brutalità della polizia, dalla negligenza del governo, da un futuro che incombe con la minaccia della crisi climatica. Oltre al danno la beffa: non solo il governo non ha aperto un dialogo con le femministe per il caso Everard, ma Boris Johnson ha promesso di «proteggere le donne e le ragazze» mobilitando più agenti di polizia in borghese per pattugliare bar e altri spazi pubblici: letteralmente il peggior incubo per la maggior parte delle donne. Chi può impedire a uno stupratore di fingersi semplicemente un agente di polizia in borghese, per esempio? Per molti, questa mossa è solo l’ennesima scusa del governo per aumentare la sorveglianza, prevenire la reazione dal basso e contenere la rabbia che è già in fermento dall’inizio dei lockdown: le morti sproporzionate di neri e asiatici, la crescita di BLM dopo l’omicidio di George Floyd da parte della polizia, l’indignazione per il rifiuto del governo di dare un aumento salariale alle infermiere. Eppure, hanno trovato i fondi per investire di più nelle armi nucleari, violando il diritto internazionale.

Grazie alla rabbia e alla solidarietà delle donne che lo scorso fine settimana hanno scosso tutta la Gran Bretagna, il Partito laburista ha dovuto fare marcia indietro dal suo originario intento, sostenuto con scuse patetiche, di astenersi dal voto sul Conservative Police and Crimes Bill. Adesso voterà contro. «Non sottovalutate il potere della protesta», ha detto Zarah Sultana, leader emergente della sinistra femminista, parlamentare laburista di ventisette anni. «Questo è solo l’inizio», ha dichiarato Sister’s Uncut. «Non staremo in silenzio. Non chiederemo il permesso. Non prenderemo ordini da uomini violenti».

 

→ A questo link la petizione contro il Conservative Police and Crimes Bill#KillTheBill, Petition

 

 

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