venerdì , 29 Marzo 2024

L’insostenibile leggerezza delle pensioni

di MAURIZIO FONTANA

L'insostenibile leggerezza delle pensioniL’agente orange, vale a dire l’invio delle buste arancioni da parte dell’INPS, comincia a diffondersi sul territorio. La questione pensioni torna a surriscaldarsi, mentre il dilagare dei voucher – quasi 20 milioni venduti nei primi 2 mesi del 2016 –, contestuale al regresso delle assunzioni dall’inizio del 2016 una volta ridotto il bonus fiscale, infiamma l’attesa dell’imminente decreto legislativo che dovrebbe porre ordine nella selva dei contratti atipici.

Nel frattempo, le pensioni di vecchiaia liquidate diminuiscono, in particolare a causa dell’innalzamento di 1 anno e 10 mesi dei requisiti anagrafici richiesti alle donne del settore privato da gennaio di quest’anno, con importi in flessione a causa delle sempre più travagliate conclusioni delle carriere lavorative delle centinaia di migliaia di persone imbrigliate tra cassa integrazione ordinaria e straordinaria, mobilità ordinaria e in deroga, sospensioni e contratti di solidarietà. Quasi tutte le nuove pensioni, comunque, superano il minimo mensile e non vengono quindi integrate a carico della fiscalità generale, ma sono interamente coperte dai contributi versati dai lavoratori in attività, mentre le pensioni minime già in essere vengono integrate per oltre 15 miliardi di euro annui grazie alle tasse versate per l’80% da lavoratori e pensionati. Quanto all’importo medio delle pensioni puramente contributive liquidate dalla tristemente nota gestione separata (in attivo di oltre 8 miliardi di euro) risulta di 169 euro mensili, traducendo in dato concreto corrente il futuro che attende, se così resteranno le cose, più di un milione di giovani lavoratori sui cui compensi grava un’aliquota contributiva del 27,72% a fronte del 22% di artigiani e commercianti.

Davanti a tutto questo, l’allegra brigata governativa si produce in proposte che potrebbero definirsi esilaranti, se non fosse per la loro insultante oscenità nel perseguire ad ogni costo gli interessi del capitalismo finanziario internazionale e del suo braccio bancario nazionale. È veramente grottesca la pretesa di continuare a fare cassa sulla spesa previdenziale e di welfare, ignorando il dato storico dell’equilibrio finanziario del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti e il crescente attivo della già nominata Gestione Separata, continuando a tacere di un saldo attivo che dal 1996, anno di entrata in vigore della legge Dini, tra contributi versati e spesa previdenziale al netto dell’imposizione fiscale ammonta ormai a 20 miliardi di euro.

Lo stucchevole e irritante balletto di proposte e controproposte su pensioni cosiddette anticipate, rispetto a deliranti requisiti contributivi e anagrafici introdotti con la legge Fornero, il feroce protrarsi dell’insulto ai lavoratori impegnati in attività usuranti o esposti all’amianto (in quest’ultimo biennio siamo entrati nel periodo di maggior virulenza del mesotelioma), la sciagurata tracotanza con cui si esibisce l’assoluta inconsistenza di un futuro pensionistico per le giovani generazioni al lavoro non possono più essere tollerati. Si deve invece affermare che non ci sono spazi né per una riduzione secca della socializzazione della previdenza pubblica, né per fantomatici secondi o terzi pilastri presunti privati, partendo da pratiche concrete di rifiuto dell’aziendalizzazione contrattuale del welfare e di opposizione alla precarizzazione istituzionale del lavoro, in primo luogo respingendo l’arbitrario e incontrollato utilizzo dei voucher. In Francia è in atto da oltre un mese una mobilitazione preventiva contro la legge del lavoro voluta dal governo Valls, in Germania è stata introdotta la tracciabilità dei mini-jobs, in Italia è tempo di attrezzarsi per fermare davvero un gioco delle parti a senso unico, perseguendo un processo di connessione politica tra le figure del lavoro, oggi per gran parte frammentato e precario.

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